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L’origine sociale dell’odio tra gli intrighi de Il cimitero di Praga

Mi sono interessato a questo romanzo sin dal primo momento in cui, ancora poco più di un’indiscrezione, ne ho avuta notizia. Evidentemente era servita una ricorrenza importante come il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia per stuzzicare nel Maestro alessandrino la voglia di mostrare l’aspetto meno pomposo e retorico del Risorgimento. Inutile dire che lo scenario che dipinge, con linguaggio sempre ricco e forbito, come suo costume, ma non eccessivamente carico ed ermetico come a molti parve quello del Nome della rosa, è lontano anni luce dal quadretto bidimensionale e sciatto della retorica insipida che ci ha propinato la scuola assicurandosi la ripugnanza di milioni di italiani a capire la propria storia. Eco interviene a gamba tesa: con il piede di porco di Simonini, un falsario abietto, cinico, privo di scrupoli, scassa il coperchio di un vaso di Pandora che, rei i formalissimi eventi di festeggiamento previsti per Italia 150, rischiava di rimanere ancora più ermeticamente sigillato. Il contenuto è gustoso, appassionante, la lettura scorre, come gli eventi del libro, velocemente e in modo scoppiettante, non mancano detonazioni, spari ed esperti di bombe, tra intrighi, tradimenti, documenti falsi e cadaveri di personaggi più o meno innocenti che hanno avuto la sfortuna di mettersi di traverso a soggetti molto pericolosi.

La seconda parte del libro, ambientata a Parigi, è più complessa e meno veloce della prima, ma non per questo meno valida. Qui Eco decide di proseguire su un tracciato già a lui e ai suoi devoti lettori ben noto: quello dei presunti grandi complotti massonici della storia. Ma questa volta il virtuoso italiano del romanzo storico non si ripete e, dal vaso di Pandora che aveva già ampiamento aperto e che, ormai credevamo vuoto, tira fuori una prelibatezza letteraria dal sapore pungente e dall’odore acre del sangue innocente versato: le origini delle persecuzioni degli ebrei nell’800. Messa così non sembra nihil novi sub sole ma la verità è che c’è una miccia corta che brucia. La bomba a orologeria è l’immensa ricerca storica che l’insigne dotto ha condotto e fedelmente riportata nel suo romanzo. L’unico collante tra personaggi, libri e complotti ai danni del popolo ebraico realmente esistiti è, perlappunto, Simonini. Tutto il resto è drammaticamente realtà storica, molto scomoda, che il nostro Re Umberto della letteratura italiana moderna, sovrano solo e insuperabile, ha voluto riportare a galla, come un cadavere mezzo putrefatto, e pure questi non mancano nel libro, che credevamo, e forse molti speravano, sepolto e dimenticato. Non certo archiviato per assoluzione ma per il-legittimo impedimento a procedere contro quella cultura e quella civiltà che è stata all’origine di queste barbarie: la nostra. Eco non ha pietà di noi e fa bene. In una macabra danza di scrittori di pamphlet velenosi pronti, per pochi denari, a scatenare campagne di odio irrazionale contro gli ebrei o contro i massoni o contro i massoni e gli ebrei insieme (se massoni ebrei pure meglio), gesuiti e finti preti, servizi segreti, rivolte e sommosse popolari, cabale e riti satanici descritti nei minimi dettagli, assassini “necessari” e sparizioni misteriose il mix è davvero esplosivo.

Ma la grandezza del libro non sta solo nella sua leggibilità e godibilità, figlia degenere e maliziosa di quei complotti, violenze, segreti e colpi di scena di cui il voluminoso tomo è ricco e che appassionano facilmente tutti noi, né tantomeno nei milioni di copie che ha venduto e che sicuramente ancora venderà o nel fatto che molti di noi vi torneranno sopra. La grandiosità dell’opera sta nell’aver svelato con una narrazione semplice i meccanismi di strumentalizzazione dell’odio ai danni di una minoranza sociale usata come capro espiatorio. Da secoli, purtroppo, in Europa gli ebrei, loro malgrado, rivestono questo ingrato ruolo, vittime qui dello strumento culturale per eccellenza: il libro. Eco ci mostra come i poteri forti – imperatore, gesuiti, chiesa – manipolino  le coscienze delle persone canalizzando le loro insoddisfazioni verso segmenti più o meno inermi della popolaziopne per evitare che questi stessi flussi negativi finiscano per torcersi contro di loro mettendo in pericolo il loro potere. Sì, lo sapevamo, ma vedere la formazione di questo processo di stigmatizzazione così da vicino e descritta in modo così chiaro è davvero sconcertante. Dopo aver letto questo libro si fa più fatica a stupirsi di tragedie come l’olocausto e altri atroci genocidi. Uno spaccato impietoso sull’origine, soprattutto sociale, dell’odio verso ciò che è diverso da noi istigato da chi, spietato e senza scrupoli come il Simonini della situazione, sa come guadagnarci sopra. È in fondo il vecchio proverbio “tra i due litiganti il terzo gode”. Eco ci mostra con chiarezza chi sono i due litiganti, chi è il terzo e perché gode così tanto e come ha fatto a mettere i primi due uno contro l’altro. In altre parole è il divide et impera con i quali i romani hanno conquistato e governato nel sangue l’intero mondo allora conosciuto.

Pecche? Forse la doppia personalità di Simonini e l’abate Dalla Piccola e il loro scambio epistolare nel quale ognuno cerca di ricostruire le vicende sue e dell’altro non è stato gestito al meglio, d’altra parte non era neanche compito facile in questo vortice di maschere e mascherati. Eppure, tutto sommato, a mio avviso questo gioco comunque arriva al suo scopo: mostrare la doppiezza dell’uomo, la sua natura complessa, la sua personalità che crea, per scelta consapevole, il male. Quello che Eco ci vuole trasmettere è che in tutti noi c’è un Simonini e forse, complessivamente, questo è anche il messaggio meno digeribile che ha scatenato le polemiche. Polemiche che nulla tolgono al valore dell’opera da ricercare, forse, oltre che in un controllo encomiabile della lingua e della storia, anche in un proposito quasi didattico del romanzo storico à la Manzoni, nel desiderio di consentire a milioni di lettori di poter gridare, se decideranno di farlo, “Il re è nudo”. Un grande monito a fare sempre molta attenzione a ciò che ci viene detto dai mezzi di comunicazione perché dietro, forse, potrebbe esserci proprio un Simonini e noi in Italia, purtroppo, di personaggi del genere ne abbiamo davvero molti.

E se un libro può provocare un dibattito come lo ha provocato questo, se un libro viene scelto come materiale di studio nelle scuole per capire le origini dell’odio e del razzismo, allora sappiamo di essere di fronte non solo ad un grande e godibilissimo romanzo, ma anche ad un potente strumento di informazione e di sensibilizzazione quale il Libro può e dovrebbe essere. Non serve chissà quale immaginazione per ritrovare nel mondo che ci circonda gli strumenti che Eco ci mostra: immigrati clandeistini, arabi, terroristi, albanesi, nomadi, rumeni, filippini. C’è sempre qualcuno più debole di noi che i nostri archetipi più profondi della paura, immoleranno, suo malgrado, sull’altare delle nostre frustrazioni, insicurezze e insoddisfazioni mentre, alle spalle, c’è sempre qualcuno che dirige la campagna di odio e ride dei lauti guadagni che ne trarrà. Mi è capitato di leggere in un articolo interessante che durante la peste della metà del XIV secolo migliaia di ebrei furono trucidati perché ritenuti untori, diffusori colpevoli del morbo. Un qualche Simonini ante litteram si sarà, quindi, preso la briga di diffondere voci e leggende su nasuti e loschi giudei visti aggirarsi nelle oscurità mentre ungevano con il morbo le porte e i muri delle case dei buoni cristiani. Una volta scatenato l’odio dei villani i presunti untori venivano sommariamente eliminati, ché a quei tempi di processi giusti non si sentiva troppo l’esigenza. Successivamente, grazie ad un decreto ad personam del sovrano, le loro proprietà venivano confiscate dalle città che ospitavano i ghetti distrutti e che vantavano crediti verso il re. Questi, perennemente indebitato per sovvenzionare le continue guerre, concedeva loro il perdono formale per i massacri e, con la proprietà materiale dei beni degli ebrei venuti a mancare per volontà di Dio, ripagava i propri debiti nei confronti di queste città. Ecco i due litiganti e il terzo gaudente. Ecco perché un libro come questo andrebbe non solo letto ma diffuso il più possibile perché, forse, il sapere può evitare, finché se ne conserva la memoria, che l’odio nasca e si prepetri ancora.

Complimenti Professore, a Lei tutto il mio rispetto e la mia gratitudine.

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