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La regina italiana degli scacchi. Intervista alla campionessa Daniela Movileanu.

Daniela Movileanu è nata il 2 dicembre 1996 ed è una giocatrice di scacchi italo-rumena che detiene il titolo di Woman FIDE Master dal 2014. Ha iniziato a giocare a scacchi all’età di otto anni, appena arrivata in Italia dalla Romania, grazie a un corso organizzato nella sua scuola elementare di Roma, ma ad avvinarla al gioco è stata la fascinazione per la storia del campione statunitense Bobby Fischer. Dal 2015 è membro della Nazionale italiana di scacchi. Ha partecipato ai Campionati Mondiali Giovanili e ha vinto due volte il Campionato Italiano Femminile nel 2015, a Giovinazzo, e a Perugia nel 2016. Daniela ha difeso i colori italiani anche alle Olimpiadi femminili nel 2016 a Baku, e ai Campionati Europei a squadre. Nel 2019 ha conquistato la medaglia d’argento per performance individuale al Campionato europeo a squadre di Batumi in Georgia, e nel corso del 2020 si è aggiudicata il terzo posto al Campionato italiano femminile (online, causa pandemia COVID-19).Attualmente il suo punteggio ELO è di circa 2239, ed è tra i 150 giocatori italiani più forti. Ma oltre agli scacchi Daniela ha studiato a Roma e Londra Filosofia e Relazioni Internazionali, specializzandosi inPolitiche Migratorie. Inoltre è autrice di articoli e ricercatrice nel campo dei rapporti tra scacchi, tecnologia e cultura. Noi di Cafeboheme l’abbiamo intervistata.

 CB.Recentemente, grazie alla miniserie Netflix “La regina degli scacchi” pare ci sia stato un aumento di interesse per il gioco tra il grande pubblico. Reputi positivi eventi del genere e cosa si potrebbe fare, secondo te, per rendere gli scacchi più popolari anche in Italia, così come lo sono già in altri Paesi?

DM. Questa miniserie ci ha probabilmente regalato un picco storico in quanto a popolarità degli scacchi. Da scacchista io stessa, non posso che essere contenta di qualsiasi cosa faccia aumentare l’interesse del grande pubblico per il gioco. Da quando è uscita “La regina degli scacchi” ho ricevuto diversi messaggi da persone che vogliono avvicinarsi per la prima volta agli scacchi proprio grazie alla miniserie. In Italia gli scacchi hanno sempre riscosso poco interesse, e credo che il motivo sia culturale. Sport come il calcio mettono in ombra un’attività più lenta e riflessiva come la nostra. Credo però che sarebbe nell’interesse del Paese dare più importanza agli scacchi, che possono avere un grande valore educativo soprattutto per i più piccoli. Si dovrebbero introdurre gli scacchi nelle scuole (fra gli ultimi anni di asilo e le elementari) in orario curricolare come attività didattica a tutti gli effetti. In questo modo non solo gli scacchi diventerebbero più popolari, ma alleneremmo anche le capacità logiche delle nuove generazioni.

CB. Hai visto la serie Netflix. Cosa ne pensi? E se sì, ti sei un po’ identificata nella protagonista, hai trovato qualche punto in comune con lei se guardi indietro alla tua formazione e alla tua carriera?

DM.Appena uscita la serie, l’ho divorata in un pomeriggio! Mi ha entusiasmato molto la possibilità di vedere degli attori così abili nel muovere i pezzi (perché noi scacchisti spesso giudichiamo la qualità di un film incentrato sugli scacchi proprio da questo!) e di riconoscere sullo schermo delle partite famose, realmente giocate. Va detto, però, che “La regina degli scacchi” ha una grande pecca: non rispecchia appieno l’esperienza di uno scacchista di vertice, né l’aspetto sportivo degli scacchi. La storia si rifà a quella del grande campione statunitense Bobby Fischer, che però studiava scacchi da mattina a sera (e, potrebbe benissimo essere, anche di notte), praticava molta attività fisica e conduceva uno stile di vita molto rigido, almeno fino al ’72, quando è diventato Campione mondiale. Nessuno potrebbe raggiungere i vertici con uno stile di vita sregolato come quello della protagonista Beth Harmon.

La mia esperienza personale è stata per molti aspetti diversa da quella di Beth, a partire dallo stile di vita fino ai risultati ottenuti (non sono mai stata, ahimè, vicina ai titoli mondiali). Ho riconosciuto però nella sua storia quello che forse accomuna molti scacchisti: la passione quasi maniacale per il gioco e la sensazione di controllo e confortante isolamento di fronte alla scacchiera.

CB. Come reputi il fatto che per la prima volta sia proprio una donna, in un film sugli scacchi, la protagonista, a differenza degli altri sul tema dove i protagonisti erano sempre uomini?

DM. Questa serie ci permette almeno di sognare che una donna possa un giorno aggiudicarsi il titolo mondiale. Purtroppo, nella realtà neanche Judit Polgar, la più forte donna di tutti i tempi, è andata molto vicina a quel titolo. È dunque in parte comprensibile che altri film a tema scacchistico abbiano protagonisti uomini, gli unici ad aver prevalso nel gioco. Certo, si potrebbe guardare un film come “La regina di Katwe” per una versione più femminile e realistica. Spero però che la serie abbia fatto riflettere il pubblico su domande con cui noi scacchisti ci confrontiamo da decenni, come ad esempio “perché abbiamo tornei separati per le donne?”, “perché nessuna donna è mai arrivata ai vertici mondiali?”. La mia risposta, in breve, è che si tratta di fattori culturali e numerici legati alle distinzioni uomo-donna che si fanno anche in altri ambiti, soprattutto quelli scientifici. Spero che lo stile di vita sregolato di Beth Harmon non scoraggi i genitori dal far giocare a scacchi le proprie bambine. Oggigiorno giocatori come l’attuale Campione del mondo Magnus Carlsen, che ha persino posato come modello, danno un’immagine molto più positiva e sana del gioco che in passato, dimostrando che il genio si può manifestare in modi che definiremmo più “normali”.

CB. Si è parlato molto del rapporto tra donne e scacchi, un mondo che è ormai una realtà da molti anni anche a livello agonistico. Ma rimane ancora forse ancora qualche pregiudizio su questo accostamento. Ricordo che una delle primissime che ha fatto cambiare idea a molti è stata proprio Judit Polgar, la quale si è battuta affinché questi pregiudizi svanissero. Tu sei stata campionessa italiana nel 2015/2016, come vive una donna del tuo talento questi tali pregiudizi?

DM. Molti mi chiedono perché donne e uomini hanno tornei diversi, in realtà non abbiamo tornei diversi. Quelli degli uomini sono open e quindi volendo anche le donne possono partecipare, ma esistono tornei esclusivamente per le donne. Tornando al discorso numerico che facevamo prima, ad oggi sono tantissime le ragazze che stanno salendo di livello. Di strada ce n’è da fare tanta, il motivo per cui abbiamo competizioni femminili separate è che le donne sono sempre state numericamente inferiori agli uomini. Si prendano i campionati italiani, dove abbiamo una ventina di partecipanti ragazze su 100/120 maschi. Anche le famiglie tendono a vedere gli scacchi come una cosa più da maschio che da femmina. Al di là di questo, essendoci campionati separati per donne, diciamo di nuovo che il livello che si deve raggiungere per far parte della nazionale italiana può essere inferiore a quello maschile. Si sta molto parlando di unire i tornei, però secondo me è un qualcosa che andrebbe fatto gradualmente, altrimenti molte donne smetterebbero di giocare, per non parlare del fatto che una donna non può più giocare a livelli competitivi con l’arrivo dei figli, o almeno sarebbe molto difficile. Bisognerebbe, secondo me, iniziare con le nuove generazione ed eliminare la distinzione fra tornei per i più piccoli, abituando ragazzi e ragazze a giocare insieme.

CB. Qualcuno disse che le donne non possono giocare a scacchi perché non riescono a stare zitte per più di quattro ore, come rispondi a questa provocazione?

DM.C’è evidentemente una buona dose di sessismo dietro a questa affermazione.

CB. Gli scacchi sono fondamentalmente un gioco di guerra, è vero che oggi le donne fanno anche la guerra, ma per tanto tempo non l’hanno fatta.

DM. Concordo, gli scacchi sono un gioco di guerra, ma c’è guerra e guerra. Storicamente, le donne sono state meno abituate degli uomini a combattere guerre violente, ma di guerre pacifiche ne hanno portate avanti molte, soprattutto nell’ultimo secolo. Premetto che non sono un’esperta, ma, volendo fare un discorso evoluzionistico, potrebbe essere vero che il fatto che le donne non siano state abituate alla competizione o all’ossessionarsi per una sola attività le renda meno propense a superare gli uomini in sport come gli scacchi. Credo però che pian piano le donne si stiano abituando ad occupare posizioni di potere, in politica così come in ambiti scientifici, e conto che presto questo cambiamento si faccia notare anche negli scacchi, dove comunque negli ultimi decenni molte più donne si sono dedicate a una carriera professionale.

CB. Quali sono secondo te a livello mondiale le donne più interessanti nella top 20?

DM.A livello professionistico abbiamo perso già le prime due, Judit Polgar, che adesso non gioca più, e Hou Yifan, che aveva raggiunto livelli molto alti, ma poi si è dedicata a un master ad Oxford e ora insegna in Cina. Abbiamo le due sorelle ucraine Muzychuk e altre tre ragazze giovani. Bisogna aggiungere che tutte hanno dietro delle situazioni particolari, come avere già un giocatore (professionista o meno) in famiglia oppure avere una famiglia particolarmente ambiziosa.

CB.Qual è secondo te, Daniela, lo scarto del grande campione? Cioè quell’elemento che fa la differenza per far sì che uno diventi il grande campione rispetto a tutti gli altri?

DM.La conclusione è che sono tantissime piccole cose, nel senso tu prendi qualsiasi componenti del gioco e in tutte queste cose, lui, il grande campione, ha quel piccolissimo vantaggio che gli permette nel momento critico di emergere. Sono tante piccole sottigliezze che il vero campione ha in più rispetto a tutti gli altri.

CB. Quali sono gli obiettivi che ti sei posta e i tornei che andrai a fare?

DM. Con la pandemia che ha bloccato i tornei, è difficile dire quali siano i miei obiettivi. Recentemente ho preso parte al Campionato italiano (femminile, per restare in tema), organizzato quest’anno online, e ho ottenuto un soddisfacente terzo posto. Spero che dal 2021 riprendano regolarmente i tornei, nel qual caso le competizioni con la nazionale, cioè le Olimpiadi e i Campionati europei, sarebbero i prossimi obiettivi. Ci tengo a precisare che io non sono una professionista e che, invece, mi sono da poco laureata e sto entrando in un ambito lavorativo che non ha a che fare con gli scacchi. Conto, tuttavia, di continuare a giocare i tornei più importanti finché mi sarà possibile.

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