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Quarantene creative. “La solitudine contagiosa” n. 2. Di Gianluca Montebuglio

2/ Giovedì

Domenica scorsa poi me ne sono andato a Villa Chigi. Bologna da lì era lontana, e a quell’ora più silenziosa. Al parco c’era quasi nessuno, sono salito fin su dove inizia una proprietà privata separata da un recinto. È sempre uno strano effetto arrivarci, come se non ti aspettassi una fine a quel bosco cittadino e invece. I giorni a seguire sono stati una scoperta. Fino a oggi, giovedì. Ho provato a sentire un’azienda con cui lavoro. Messaggi, mail, telefonate cadute in un vuoto che non ho riconosciuto e che per questo per un attimo mi ha spaventato. È stato un attimo lungo e pacato. È iniziata la cassa integrazione, palloni nella sacca e tutti a casa. Devo finire altre cose comunque, mi dedico a quelle. Penso.

La sveglia alle sette e mezza è suonata inutile, ché ero già sveglio. Sul comodino una luce accesa ancora dalla stanchezza della sera, la foto della mia famiglia e il cellulare. Ciro che affonda nel sonno della sua cuccia, Michela pure. Mi godo il suo dormire bambinesco, con la bocca un po’ aperta e i mille capelli ricci di silenzio appoggiati ovunque sul cuscino. Mi viene in mente il sogno della notte, c’è una strada e io da solo in auto, una sorta di stradina, di quelle che ti portano a un parcheggio e infatti è un parcheggio abbandonato dove entro, ma una volta all’interno capisco che non era lì che dovevo andare e allora faccio manovra in quell’area chiusa e recupero l’uscita. Ad aspettarmi, mia nonna. Mi fa cenno, sorride, è un cenno di serenità che dice stai tranquillo, non ti fermare, procedi. A due mesi mi beccai una brutta cosa ai polmoni e nonna traslocò praticamente a casa nostra. Mi battezzarono a domicilio, con il prete che diceva Meglio battezzarlo ‘stu criaturo che qua mica sappiamo come va?, ed era vero perché non si sapeva ma poi l’ho saputo e sono andato avanti. Da adolescente ci leggevo una certa riluttanza al Sacro, in quel battesimo a casa. Ma era un io adolescente, appunto, la creatura più stupida che abbia mai incontrato.

Ho aperto la credenza in cerca della colazione. È una credenza riempita per bene, abbiamo pensato Forse è meglio andare meno possibile in giro allora facciamo una spesa grossa e così è stato. Ho anche del caffè solubile, metto su l’acqua per filtrarlo e azzanno dei biscotti, poi è la volta dei cereali. Nel farli cadere dal loro cartone, si alza un rumore che Ciro riconosce. Ha pensato fossero le sue crocchette e invece sono le mie. Però mi diverte sempre quando me lo ritrovo in cucina, in cerca di una ricompensa, Ma di cosa dovrei ricompensarti neh Ciru’?, che stavi dormendo e adesso sei venuto qui?, eh no, non funziona così. Una deroga di questi giorni è che posso fumare in bagno. Mi ero inventato una stitichezza inesistente per guadagnarmi questo privilegio. Michela ha finto di crederci, poi ha smesso perché non c’è più spazio nemmeno per le piccole bugie in 60 metri quadri forzati. Meglio così.

Scanniamoci, passiamo del tempo rinchiusi. Domani andrà meglio, penso, ma poi alla sera sono così stanco e irrequieto che addormentarsi non è facile, infatti è difficile addormentarsi se uno è stanco ma pure irrequieto, è come una lotta che vuoi perdere ma non perdi. Sto per riuscirci, a uscirne sconfitto, intendo, quando mi viene in mente questa cosa qui:

macchiata di stelle e cioccolato, dalla tua bocca esce luce che non si arrende. È splendere di rabbia. Finche mi meraviglio, forse sono salvo; finché non dico le cose come stanno, le cose non stanno come dico.

Digito tutto sullo smartphone. Notte.

Gianluca Montebuglio

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