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Nicolai Lilin, tra l’inchiostro della penna e quello dei tatuaggi.

100_priloha_rozhovor01_stransky_R51_2013Nicolai Lilin, scrittore russo di adozione italiana che con il suo libro d’esordio “Educazione Siberiana” (Einaudi 2009), tradotto in 23 paesi, si è guadagnato subito un posto di rilievo nel panorama letterario contemporaneo, è molto più di un semplice scrittore. Tatuatore, ex militare di professione, esperto di antiterrorismo, artista e padre affettuoso, Lilin è un uomo dalla personalità interessante e complessa, difficilmente incasellabile in uno schema, così come la sua opera letteraria che divide i critici, a metà strada tra la fiction e il romanzo autobiografico. La sua scrittura semplice, ma mai banale, le grandi doti di narratore -ereditate dai suoi antenati eredi di una tradizione orale ormai perduta- e una capacità innata di sondare e stimolare lievemente quella parte inconscia della coscienza umana legata alle pulsioni più ataviche, sono state la combinazione vincente per il successo inaspettato di vendite di questo guerriero della penna esperto di Kalashnikov e amante di Tolstoj. Lo abbiamo incontrato a Praga, presso la casa editrice Paseka, in occasione della presentazione in lingua ceca del suo secondo libro “Caduta Libera” (Einaudi 2010) che racconta le vicende di Kolima, alter-ego dell’autore, questa volta impegnato in prima linea nella Seconda guerra cecena.

–       Nicolai, questo tuo alternarsi tra l’inchiostro della penna e quello dei tatuaggi… Cosa hanno in comune, per te, queste due forme d’arte?

NL. Entrambe sono delle vie di comunicazione molto forti. Se parliamo di tatuaggi, li comprendiamo come una forma d’arte simbolica il cui fine è la comunicazione di qualcosa, e questa è una comunicazione forte perché a comunicare è il nostro corpo.

Il libro, la letteratura, sono altrettanto una forma di comunicazione dove a comunicare sono però le pagine e le nostre idee, comunque generate dal nostro corpo, dalla nostra mente, ma impresse sulle pagine. A volte queste due forme di comunicazione si confondono: mi capita spesso di voler accedere attraverso il tatuaggio ad una via che normalmente si percorre quando si scrive, e scrivendo invece mi capita a volte di voler trovare un simbolo che invece trovo facilmente comunicando attraverso il tatuaggio.

–       Quello dell’editoria, in Italia, ma non solo in Italia, è oggi un mercato difficile. Tu dal tuo primo libro Educazione Siberiana del 2009 fino a Storie sulla pelle, passando per Caduta Libera -che sei qui a presentare in questi giorni- e Il respiro del buio sei stato un “caso editoriale” che però sta continuando ad avere successo, quindi non una “meteora” destinata a spegnersi nell’arco di poco tempo. Qual è secondo te la ragione del successo dei tuoi libri?

NL. Credo che il segreto sia comunicare cose interessanti, cose che la gente vuole leggere, cose nuove e farlo in un modo semplice, essere un amico e non come un politico, uno scienziato o un giornalista che vuole a tutti i costi tirar fuori la propria bravura, le proprie conoscenze di geopolitica ecc. Io nei miei libri comunico come faccio quando vado con i miei amici a bere un bicchiere di birra, oppure come quando incontro qualcuno per strada che mi fa qualche domanda ed io gli rispondo con sincerità. Ecco, così comunico quando scrivo i miei libri. Voglio raccontare storie interessanti, coinvolgenti, che interessano le persone perché anche a me piace essere coinvolto. Mi piacciono le storie che mi lasciano qualcosa, che mi emozionano. L’importante oggi per la letteratura credo sia proprio questo: tornare ad avere tante belle storie da raccontare, avere qualcosa di interessante da comunicare.

Il protagonista assoluto dei tuoi primi tre libri è la guerra: la guerra tra bande     criminali in Educazione siberiana, la guerra contro il fondamentalismo islamico in Caduta Libera, e ancora un’altra forma di guerra, forse ancora più temibile di quelle precedenti, che racconti nel libro Il respiro del buio. Guerra e violenza. Cosa ti ha spinto a scrivere su questi temi?

NL. Sicuramente ho iniziato a scrivere su questi temi e in questo modo quando sono arrivato in Italia, in Occidente, e ho visto quanto è diversa la mia generazione. Io a 18 anni, quando ero ancora un ragazzino e non conoscevo bene ancora la vita, sono finito in una situazione che era centomila volte più grande di me e di cui ancora oggi non riesco a capire tutta la complessità. Poi, dopo aver fatto una serie di esperienze in giro per il mondo, sono venuto in Italia come un giovane uomo e ho scoperto che in Occidente la gente della mia età gioca ancora con la playstation.  Che non è un male! Io non giudico, anzi! Vorrei anche io essere così. Anche io oggi ho il mio IPad e ogni tanto gioco a qualche giochino e scopro l’infanzia che non ho mai avuto; scopro Heidi con mia figlia guardando i cartoni animati… E quindi questa differenza totale dai miei coetanei mi ha spinto a raccontare in questo modo la guerra perché ho visto che tanti  la vedevano diversamente da come l’avevo vista io. Ho visto che in Italia la guerra viene considerata o come una cosa completamente da condannare, ma da condannare in modo generico, anche molto ipocrita, perché si condanna una cosa che non si conosce, oppure, dall’altra parte, molti la considerano invece un show, un divertimento, grazie ai film dove quando si uccide si ride, si scherza, oppure ai videogiochi dove dalla mattina alla sera ci si ammazza. Tra l’altro videogiochi molto realistici, che fanno paura… Si fa tutto questo, però, senza il dolore vero, senza vedere cosa accade dopo, perché quando nel videogioco si spara, il nemico cade a terra poi scompare, ma nella vita poi vedi anche la gente che arriva, la madre che piange… Per questo volevo raccontare la guerra così com’è veramente, per condividere questa esperienza con le persone che non conosco.

-C’è un’altra costante nei tuoi libri, in tutti i tuoi libri, ed è una cosa che subito colpisce se si legge con un po’ di attenzione, una specie di leitmotiv di sottofondo: l’importanza delle regole. Le regole delle comunità criminali che tu descrivi, quelle della guerra, del carcere, quelle che in tutte le situazioni estreme che racconti, per quanto dure queste regole possano essere, rimangono comunque – anche lontani  dalla vita “civile”- l’unica forma di  difesa dalla altrimenti totale caoticità del mondo e dell’esistenza. Questa cosa è casuale oppure è una questione sulla quale hai riflettuto?

NL. Scrivendo i libri io non ho fatto un approfondito elenco dei casi che sarebbero emersi, ma per me le regole sono importanti. Sono cresciuto in una situazione in cui le regole erano tutto. Sono passato anche attraverso momenti in cui la sparizione delle regole e l’euforia della libertà improvvisa aveva distrutto i mondi, perché anche per essere liberi servono delle regole. Le regole non sono sempre il male. Spesso vediamo i giovani in queste manifestazioni di protesta contro qualcosa, in cui c’è questo spirito anarchico, filibustiere che è anche molto coinvolgente e bello… Si vorrebbe distruggere qualsiasi cosa… Però ricordo che noi in Unione Sovietica, quando si facevano le manifestazioni e si stava buttando giù il regime, che era un regime e, per carità! Non voglio certo difenderlo, sarei l’ultima persona a poter difendere il regime in Unione Sovietica, sarei un ipocrita, visto che nella mia famiglia sono morte 17 persone per mano dei sovietici… Però quando succedeva questo casino, quando è arrivata questa libertà e c’erano manifestazioni, carrarmati in piazza, gente…  Io vedevo mio nonno che era triste e preoccupato. Allora io andai da lui e gli dissi: ”Nonno, tu che li hai odiati per tutta la vita i comunisti, adesso che stanno crollando, che è questione di settimane e saranno finiti, come mai non sei contento?” E lui mi ha detto:” Nicolai io sono triste per te e per le generazioni che verranno dopo, perché non si distrugge una casa prima di averne costruita un’altra nuova”. Diceva che anche se loro erano i nostri nemici e se noi non eravamo d’accordo con loro politicamente, non era giusto distruggere quello che avevano creato, il sistema sociale che loro hanno creato, senza avere almeno un’alternativa o un’ipotesi di alternativa. E io lì ho capito che comunque vada le regole servono, anche se a volte non ci piacciono. Anche con mia figlia, la mia piccola figlia, quando andiamo a mangiare il gelato e lei vuole tenere il cono senza il tovagliolo e io invece glielo avvolgo sul cono, lei mi chiede: “Papa ma perché, perché questa regola?” E io gli dico: “Figlia mia non so risponderti, però intanto tu fallo!”.

Nei tuoi libri c’è una critica costante sia al modello comunista sovietico, sia al capitalismo senza regole che a questo è seguito. Quale potrebbe essere secondo te un modello equilibrato di organizzazione politica e sociale in un paese grande e complesso come la Russia di oggi?

NL.  È molto difficile per me  parlare della Russia in termini analitici perché è il mio paese. È come se a te chiedessero se tua mamma è buona o cattiva… Nessuno risponderebbe che sua mamma è cattiva, assolutamente, anzi, risponderebbe che sua mamma è la migliore di tutte. Io adoro questo paese. Ovviamente sono molto preoccupato per le situazioni che ha vissuto in passato e che ancora dovrà vivere perché, come hai detto tu, la Russia è un paese enorme. Quando noi diciamo che la Russia è grande non lo diciamo tanto per dirlo, la Russia è veramente un paese grande: né Hitler né Napoleone sono riusciti a conquistarla e si sono resi conto di questa grandezza. Ci sono una serie di situazioni che questo paese sta attraversando oggi, a cui dobbiamo unire la sua complessità storica… Penso ad esempio alla corruzione, anche se questa non è solo una specificità russa, sulla corruzione italiana, ad esempio, si potrebbero scrivere saggi; è una cosa che colpisce a livello globale tutte le nazioni. La Russia è un paese che, secondo me, potrebbe funzionare molto bene se la classe media, intellettuale, la borghesia che c’è -poca ma c’è- troverà un equilibrato accordo ed una unione con il popolo. Altrimenti ci saranno sempre questi sbalzi che poi portano a disastri com’ è stata la Rivoluzione di Ottobre che è stata la rivoluzione del popolo e però poi il popolo ha sterminato tutte le altre persone. La borghesia russa, quella che si è salvata, lo ha fatto grazie agli ebrei che hanno organizzato le navi per l’America per quelli che sono riusciti a scappare. Poi ci sono stati questi 70 anni di oblio totale; generazioni di umani che hanno sofferto e soffriranno ancora. Perciò io credo che la Russia debba necessariamente trovare un equilibrio sociale.

– Molti lettori ti considerano una scrittore “di destra” sostenitore del militarismo e di una visione “tradizionalista”. Ti identifichi con questa definizione?

NL. No, io sono apolitico totalmente. Mi è capitato spesso, anche per un’azione che feci, quando tempo fa andai a presentare un libro a Casa Pound a Roma – al tempo non sapevo neanche bene cosa fosse Casa Pound- di essere considerato di destra.  Ma io andai lì perché ci andarono anche altri intellettuali, anche di sinistra, c’era un ex brigatista… Però si vede che loro hanno un po’ manipolato la mia partecipazione e quindi in rete per un po’ di tempo mi davano del fascista, che per me è una cosa stranissima. Io ho origini ebraiche e quindi non posso proprio essere di destra, anche perché avevo una bisnonna ebrea che è stata nei campi. Anche se volessi essere un nazista non potrei per la memoria di mia nonna a cui volevo tantissimo bene. Mi piacciono le idee del tradizionalismo, ma non di quello estremo. Mi piacciono le regole, ma non regole per le quali una persona debba per forza morire. Se le regole devono essere intese come quelle applicate nel Terzo Reich, allora meglio nessuna regola. Non scherziamo! Anche se poi non avere nessuna regola è comunque già una regola. Anche un completo e totale anarchico, per il fatto stesso che si definisce tale, è un politico e quindi sottoposto a delle regole. Per cui non c’è scampo! Comunque, tornando alla domanda, io non sono di destra. Ma non sono neanche di sinistra.

lil6–       Nei tuoi libri giocano un ruolo molto importante gli “anziani”. Nonno Boris, nonno Nicolai, il capitano Nosov… Figure affascinanti e carismatiche che con la loro saggezza e la loro opera educativa sono il tramite della conoscenza e dell’esperienza che passano da una generazione all’altra. Da quello che scrivi si capisce che tu dai una grande importanza al ruolo degli anziani. Oggi però, come vediamo, la società contemporanea dà sempre meno importanza alla figura dell’anziano, tanto che si può dire si sia creato un vero e proprio abisso tra le vecchie e le nuove generazioni. Cosa pensi di questa cosa?

NL.  Io sono nato nel 1980, avevo 7 anni quando nel 1987 cominciarono i primi turbamenti di pre-caduta sovietica, erano tempi a dir poco violenti, soprattutto dove io sono nato, un posto molto problematico. Arrivò l’eroina, cominciarono i primi tossicodipendenti, interi quartieri di periferia cadevano nella tossicodipendenza, vedevi questi zombie camminare per strada, io poi all’epoca ero un ragazzo e, come del resto anche adesso, mi piaceva farmi trasportare dalla fantasia e lasciarmi impressionare dalle cose, leggevo molti libri di fantascienza e quando vedevo questi tossici  pensavo che fossero veramente degli zombie, dei morti viventi. Molti dei miei amici, dopo la caduta del comunismo, hanno iniziato ad avvicinarsi a nove dieci anni a quelli che spacciavano la droga, portavano loro i messaggi, allora quelli in cambio gli davano qualcosa, gli facevano sniffare l’eroina… È la morte questa! Io ho visto in tutto questo il male, e questo grazie alle regole, grazie a mio nonno, grazie all’impostazione della mia famiglia dove non si fumava neanche una sigaretta, e allora io mi sono allontanato dai miei coetanei e ho cominciato a passare tantissimo tempo con i vecchi, sono diventati loro i miei coetanei, e infatti mi sentivo anche io come un vecchio.

Ricordo che con i miei amici andavamo in discoteca, ma non per ballare. Ci andavamo per picchiare quelli che ballavano. Eravamo ignoranti, tutti indottrinati con queste regole di strada secondo cui chi va in discoteca e balla è un bastardo, finocchio, omosessuale. C’era questo odio insensato nei confronti degli omosessuali che io ancora oggi non riesco a capire, però c’era, ed era terribile. Poi, stranamente, veri omosessuali in quel posto lì non ce n’erano neanche, non li abbiamo mai visti, li inventavamo! Era una cosa veramente allucinante, eravamo una generazione turbata. Noi andavamo in discoteca per picchiare quelli che ballavano, il nostro divertimento era aspettare chi si divertiva, aspettavamo lì sotto un muro quattro ore, fino all’una di notte la gente che ballava e ci riempivamo di odio ascoltando quella musica… Poi in realtà tutti avremmo voluto andare dentro a ballare, però nessuno voleva ammetterlo, altrimenti sarebbe stato considerato “ricchione”. Io volevo ballare… si vede che ero un “ricchione”… che ne so! Quando poi all’una di notte la gente usciva, in pochi minuti gli saltavamo addosso, li picchiavamo e poi scappavamo a casa ridendo, e questo era il nostro metodo di liberazione: correre all’una di notte per strada, tirando le pietre e sperando che gli sbirri non ci prendessero. Poi, ad un certo punto, io ho iniziato a tirare fuori le  regole che avevo imparato dai vecchi, e ho capito che stavamo facendo delle cose non giuste e fui allontanato da alcuni miei amici perché mi dicevano che ero come un vecchio che gli stava rovinando il “bellissimo divertimento!”.

Così ho scoperto che la vicinanza con i miei vecchi mi ha salvato dalla droga, al 100%. Se non era per i miei vecchi io sarei finito con un ago nelle vene, e invece in vita mia io non ho fumato mai neanche una “canna” e ne vado orgoglioso. Poi se qualcuno lo fa per me va benissimo, ho tanti amici che lo fanno, però sono cose private. Io non mi drogo e mi basto così, e questo grazie ai vecchi. Ho passato con loro tantissimo tempo e ho appreso da loro tanto.  Nella nostra società si tagliano fuori i vecchi, ci sono questi “depositi” terribili per anziani… anche se però, pensandoci, io lì vorrei andarci quando diventerò vecchio, sì! Non voglio stare a casa quando sarò vecchio. Voglio andare in un posto dove ci sono altri vecchi, magari insieme giochiamo a carte e scherziamo finché la morte non arriva. Vorrei farlo. Non vorrei invece che i miei famigliari mi vedessero come un peso, come una cosa ormai inutile per la società, questo non è giusto perché i vecchi possono dare tantissimo. Loro sono persone che hanno vissuto, che hanno esperienza e ci possono insegnare come non sbagliare. Per questo nei miei libri mi concentro molto sui vecchi, sulle generazioni del passato.

-Sia in Caduta libera che ne Il respiro del buio, c’è una chiara condanna al fanatismo religioso dei fondamentalisti islamici. Cosa mantiene viva, secondo te, questa forma estrema di religiosità?

NL. Personalmente credo che qualsiasi forma di fondamentalismo sia uno sbilanciamento dannoso sia per l’uomo singolo che per l’ umanità intera. Nel caso del fondamentalismo religioso parliamo di uno strumento terribile nelle mani di pochi furbi che riescono a manipolare con facilità grandi masse di persone, e con questo compiere azioni che non hanno niente di diverso da quelle mafiose. Il fondamentalismo religioso islamico o anche cristiano come c’è in Russia, nel Nord Europa, pensiamo al quel pazzo norvegese che massacrò tanta gente perché si credeva un crociato, uno che salva l’Europa dall’islamizzazione… Io ho un fratello più piccolo, che è musulmano, è diventato musulmano, si è convertito un anno e mezzo fa, ha sposato una ragazza del Dagestan, quindi io in famiglia ho una ragazza imparentata con i ceceni, ma la religione quando è vera e sincera è un bene perché è un aiuto in più, ma quando diventa uno strumento trasforma gli uomini e li distruggi, per questo io credo servano equilibrio, ma soprattutto serva intelligenza personale. Non bisogna mai fidarsi. È vero, come dice Salvatores, che è meglio un cattivo maestro che nessun maestro, però nel caso della religione alcune cose bisogna approfondirle da soli perché, come diceva mio nonno: “Tra uomo e Dio non deve esserci nessun altro”. Ognuno sceglie la sua strada, sceglie il modo in cui vuole parlare con Dio, può essere buddhista, cristiano, musulmano… Qualsiasi modo, ma senza mettere mai nessuno in mezzo. Sarebbe come portarsi a letto qualcun altro: tu, tua moglie, poi chiami gli amici… È una cosa brutta, insomma. So che qualcuno lo fa, eh! Come ad esempio il nostro premier, l’ex premier… Magari a qualcuno questa cosa può anche piacere!

lil5-Torniamo al tatuaggio. Anche il tatuaggio, questa forme di arte antica, arcaica ha perso nella società di oggi il suo significato vero o semplicemente ha subito una evoluzione? Cos’è il tatuaggio oggi?

NL. Il tatuaggio oggi è sicuramente una riflesso della caoticità e della pianezza globale che il mondo sta subendo. Ma il mondo è comunque un catalizzatore perfetto per qualsiasi situazione. L’unica piccola preoccupazione deriva solo dagli uomini perché noi misuriamo tutti gli eventi con la nostra vita e siamo molto arroganti. Vogliamo che la storia cambi in pochi giorni rispetto ai nostri pensieri, ma non avviene mai così. La storia è una cosa lunga. Noi non dobbiamo pensare alla storia, dobbiamo farla procedere come vuole lei e concentrarci solo sulle nostre azioni. Comunque il tatuaggio moderno è una cosa super evoluta, più commerciale che mai, anche se adesso sta uscendo dalla rotta puramente commerciale. Proprio in questi anni la gente non ne può più di tatuaggi commerciali. Anche le persone che dieci anni fa si sono tatuate addosso qualsiasi cosa… Voi non sapete quanti “gladiatori di Totti” ho visto  nella mia vita… Le cose che la gente si faceva tanto per farsele… adesso anche loro hanno capito. Il tatuaggio non è una cosa che la fai una volta e poi la dimentichi, è una cosa che ti porti sempre con te, che la vedi sempre, e adesso molta  di quella gente si chiede stupita il perché abbia fatto ciò e  cosa avesse nella testa in quel tempo. Oggi stiamo vivendo un “ritorno alle origini”, così si chiamava anche la prima mostra che ho fatto dedicata al tatuaggio tradizionale, ai simboli. Ho aperto da poco un laboratorio vicino a Padova, una città bellissima, dove ci sono artisti miei amici, dove facciamo ricerca. Lo abbaiamo chiamato “Marchiaturificio” per non chiamarlo con nessun’altra parola legata all’idea del tatuaggio commerciale, al tattoo. “Marchiatore”, quello che faceva i marchi, era un vecchio modo russo per chiamare chi faceva questo mestiere. Lì, in questo laboratorio, si cerca di trovare un equilibrio tra lo stile commerciale e lo stile arcaico-tradizionale. Io non voglio costringere la gente a tornare oggi allo stile arcaico perché è impossibile, e poi lo stile commerciale è anche bello, c’è un aspetto estetico che non è da sottovalutare. Unirli però in una corrente sarebbe opportuno. Questi artisti, questi miei amici, lavorano tanto, producono tanto e creano un nuovo modo di comunicazione, loro assemblano diversi tipi di tatuaggi, ogni simbolo rappresenta qualcosa, ogni simbolo parla e poi tutti insieme fanno una storia, quindi creano delle storie vere e proprie. Questa è una cosa emozionante perché vedo che non lo faccio solo io, ma anche tatuatori che tatuano da 30-40 anni, anche Fercioni che è stato tra i primi tatuatori in Italia, l’unico che ha un museo del tatuaggio a Milano approvato dal Comune, uno che in Italia per il tatuaggio ha fatto tantissimo. Lui è un mio amico, lo conosco e gli voglio molto bene, ha fatto un lungo percorso, ha praticato diversi stili, ha creato una scia commerciale, ma anche lui torna oggi verso il simbolismo. Vedo sempre più giovani che si tatuano non perché vogliono semplicemente una immagine, ma perché vogliono che quella immagine comunichi qualcosa. Il tatuaggio sta diventando di nuovo una via di comunicazione, così come deve essere.

                                                           

-Tu vivi da vari anni in Italia: da persona che conosce bene questo paese, ma che è arrivato dall’esterno e quindi con una visione forse più lucida, cosa ti piace e cosa no dell’Italia?

NL. Naturalmente il paese mi piace, altrimenti non ci vivrei. Mi piacciono tre cose dell’Italia che ritengo eccellenti e che nessun altro paese nel mondo, oltre all’Italia, ce l’ha così: vino, cibo e donne! Le donne italiane sono le più belle del mondo. Adesso non creiamo campanilismi, altrimenti le altre si offendono… Ma io credo questo.

 Sono stato sposato una volta con un’italiana, adesso convivo con un’altra che sta aspettando un’altra bambina e quindi diventerò per la seconda volta papà. Sono veramente per le italiane, soprattutto le donne meridionali, le donne del Sud, così passionali, gelose… Hanno un carattere particolarissimo, profondo, che deriva credo dalle donne romane, da come erano le donne nell’antica Roma.

Poi ci sono situazioni in Italia che invece non mi piacciono. Non mi piacciono i segreti, non mi piace come viene affrontato il discorso della democrazia in Italia, perché credo che spesso il paese sia poco democratico. Non mi piacciono queste storie nascoste, di stragi, di vittime… Sono molto sensibile a queste cose. Per me è molto importante vivere in una società che non abbia nel suo passato dei buchi neri, e invece in Italia ci son ancora troppi buchi neri: la strage di Piazza Fontana, Ustica…. Tutto questo genera classi politiche che continuano ad avere una necessità di nascondere e che quindi, per quanto possano essere onesti questi politici, per quanto appaiano buoni, quando arrivano poi lì continuano a comportarsi come i loro predecessori. Da italiano io voto perché devo dare il mio voto, so che votare è una necessità, il cittadino deve votare così come il soldato deve combattere, perché se non combatti allora ti ammazzano, un cittadino deve esprimerne il proprio voto e perciò non è giusto quando qualcuno dice che non bisogna votare e che è meglio stare a  casa, però io voto piangendo, te lo giuro! Mi vengono veramente le lacrime, io so che andando a votare sto andando a divorare il futuro dei miei figli perché non ho una persona che mi rappresenti veramente, perché tutti loro, i politici,  comunque sono dei ladri, bugiardi, speculatori, qualcuno di più qualcuno meno, qualcuno più simpatico qualche altro più antipatico, qualcuno  tende di più ai fascisti qualche altro ai comunisti, comunque sono tutti bugiardi e questa è una parte dell’Italia che mi turba.

Poi però abbiamo un popolo bellissimo, un popolo comprensivo, un popolo aperto. Guarda: a quelli che dicono che gli italiani sono razzisti io gli spaccherei la faccia, gli farei ingoiare i denti a forza di botte! Io sono arrivato in Italia ed ero un perfetto nessuno. Ero un extracomunitario come tanti. Sono riuscito a realizzarmi, a scrivere i libri solo perché la gente non è indifferente, perché la gente ha comprato il libro, ha detto: “Ma chi è quello lì? Andiamo a leggere… Ma guarda che storia interessante!” Nessuno mi ha mai detto:” Schifoso negro, ebreo, comunista, russo…” Io ho incontrato sempre gente buona che mi ha aiutato. In Italia non ho mai trovato nessuno che mi rinfacciasse qualcosa. Certo, ci sono delle pecore nere… Ma guarda a Lampedusa cosa succede: la gente aiuta i rifugiati, è commovente. Vorrei davvero vedere se gli austriaci o i tedeschi sarebbero in grado di accogliere così, in quel modo. A Lampedusa la gente, nonostante la carenza di strutture si porta questi rifugiati a casa, gli dà da mangiare, li riscalda. Questa è l’umanità vera. Io sono felice per questo di far parte di questo popolo, gli italiani. È per questo che non sono andato via. Se fosse invece solo per la situazione politica sarei già emigrato.

-Ma in Russia? Non credi che in fondo sia la stessa cosa?

 NL. La Russia è un paese dove la gente è buona, infatti somigliamo molto agli italiani, è per questo che mi sono trovato bene qui. In Russia non ti lasciano solo, senza un piatto caldo. I russi per natura sono molto ospitali, l’ospite è sacro. Se tu leggi Mario Rigoni Stern, un grande scrittore italiano, c’è un bellissimo suo racconto che si chiama Tre patate lesse, nel suo libro Il sergente nella neve che io ho letto in Russia. In questo racconto lui narra del momento cui in loro, soldati italiani in fuga, si incontrano con i partigiani. Arrivano in questo villaggio entrano affamati in questa isba, hanno freddo, uno di loro è ferito… Entrano e a tavola ci sono i partigiani, i loro nemici, che mangiano. E i partigiani gli fanno segno di entrare e sedersi a tavola con loro. E lui dice questa frase bellissima, nel suo libro, e cioè che in quel momento loro non erano nemici, ma semplicemente uomini che avevano fame. Questa è l’umanità! Se ci fossero stati i tedeschi al posto degli italiani probabilmente non sarebbe andata così perché russi e tedeschi non si sarebbero capiti. Con gli italiani invece c’era uno speciale sentimento. L’italiano veniva visto come una persona d’animo, come uno che ti parla, che comunica. Questa cosa era molto bella.

Anche in Russia, però, oggi ci sono problemi con l’immigrazione, con la strumentalizzazione… Ci sono alcune leggi infami, ma sai, questo non dipende dal popolo, a volte neanche dai politici, dipende da strani meccanismi e da una cricca di persone che ci specula sopra.

-Quali sono i tuoi autori preferiti, a parte Dostoevskij che citi sempre. Conosci Čingiz Ajtmatov?

NL. Certo che lo conosco! In assoluto il mio autore preferito, di cui rileggo sempre tutti i suoi libri ogni anno, come un rito, una ritualità spirituale, è Bulgakov. Poi: Turgenev, Čechov, Tolstoj che per me sta vicino a Dio e a Dante. Mi piace immaginarli tutti e tre lì insieme da qualche parte. Secondo me Dio è stato un po’ Dante e un po’ Tolstoj. Li ha illuminati da lassù e ne ha fatto un po’ la presenza divina sulla terra. Un po’ come Buddha, Krishna… E poi tra i poeti mi piacciono Esenin, Mandel’štam, Blok e tanti, tanti altri.

-Quello che dici di Tolstoj è particolarmente vero. Tolstoj ha anticipato temi di psicologia del profondo nella sua opera… Pensiamo, ad esempio, a Guerra e Pace…

 NL. Tolstoj è stato il primo a creare l’idea di “Individualismo spirituale”. Lui ha detto che non serve la struttura. Per questo fu scomunicato dalla chiesa ortodossa. È bellissima la formula con la quale è stato scomunicato, per la ragione di “estremo pacifismo”, veramente una cosa da leggere! Quella formula di scomunica della chiesa ortodossa era veramente demenziale, quando tu la leggi capisci tutta la demenzialità della gente che l’ha scritta. Ma è bellissima la sua risposta. La risposta di Tolstoj alla scomunica vale tutti i suoi libri! Leggila, è veramente incredibile! Lui risponde a questi burocrati della spiritualità che gli vietano addirittura di essere sepolto nel terreno consacrato. Prima fa tutta una riflessione sulla sepoltura e alla fine conclude dicendo: “Non mi importa il modo in cui verrò sepolto, l’importante è che nascondano il mio corpo da qualche parte sotto terra, affinché non puzzi!”

Si ringrazia la casa editrice Paseka per la concessione delle fotografie

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