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Gli incontri dell’Accademia Italiana della Cucina a Praga. Pizza, cucina napoletana e solidarietà alla pizzeria-trattoria “San Carlo”.

L’Accademia Italiana della Cucina è stata fondata a Milano da Orio Vergani il 29 luglio 1953, ed è una associazione “senza fini di lucro, apartitica e ideologicamente libera”, il cui scopo è la tutela delle diverse e ricche tradizioni della cucina italiana, di cui promuove e favorisce il miglioramento in Italia e all’estero. Una sua delegazione è da anni presente e attiva anche a Praga, città in cui gli accademici periodicamente si incontrano per mantenere vive le tradizioni alimentari nazionali e regionali d’Italia.

Il giorno 29 novembre 2017, l‘ Accademia Italiana della Cucina, delegazione di Praga, si è riunita presso il Ristorante Pizzeria “San Carlo” per assaporare, anche in terra boema, il gusto unico e inconfondibile della tradizione enogastronomica campana nelle sue sfumature tipicamente partenopee.

La pizzeria “San Carlo”, nel quartiere di Praga 2, è un’altra scommessa vinta del visionario e carismatico imprenditore Giorgio Bonelli che è stato capace di ricreare nella capitale ceca l’ambiente, i sapori e i colori della vera cucina napoletana proponendo un menù tipico fatto di piatti preparati con sapienza ed esperienza dallo staff capitanato dal maestro pizzaiolo Antonio di Filippo.

Il locale, rinomato soprattutto per la qualità della pizza, non ha temuto di mettersi in gioco offrendo ai palati degli accademici praghesi un menù di tutto rispetto in quanto a sapori, prodotti tipici e storia.

Di seguito il menù con i piatti proposti agli accademici di cui vogliamo raccontare brevemente qualcosa

 

Menù

Antipasti:

Focaccia con prosciutto e focaccia al rosmarino

vino: Falanghina del Sannio  DOC  (Feudi di San Gregorio. Irpinia)

Un impasto di farina, sale, acqua, lievito e un po‘ di olio o strutto, il tutto cotto sulla brace o al forno: nulla di più semplice, eppure proprio per la sua semplicità e il suo gusto inconfondibile, questo cibo ha attraversato i millenni per arrivare fino a noi oggi. Le origini della focaccia sono infatti antichissime: greci, fenici e altri popoli dell’antichità utilizzavano farine di vari cereali che cuocevano sul fuoco come cibo quotidiano. Non è un caso, infatti, che sia la parola „focus“ (latino di: fuoco, braciere, focolare…) sia „focaccia“ abbiano la stessa radice. A Roma questo cibo veniva addirittura offerto agli dei e fu successivamente alimento simbolo, insieme al vino, nei banchetti nunziali. Per via della sua facile preparazione (che non necessita di una lunga lievitatura) e conservazione, per secoli la focaccia è stata il cibo preferito dei viaggiatori, dei contadini e dei pescatori che farcivano con salumi, ortaggi, formaggi e altri ingredienti che avevano a disposizione. Un alimento tra i simboli più importanti delle tradizioni alimentari del Mediterraneo soprattutto in questa sua versione al rosmarino, vegetale mediterraneo per eccellenza, dalle proprietà leggendarie note alla medicina, alla cosmetica e alla superstizione popolare. Basti dire che il suo nome vuol dire: “rugiada del mare” e che per gli egizi era simbolo di immortalità.

Il vino che accompagna le focacce è una Falanghina del Sannio DOC

Il nome “Falanghina” deriva con molta probabilità dall’uso dei pali detti “falange” che sin dall’antichità venivano usati per sostenere le viti. Si tratta di un vitigno autoctono campano risalente probabilmente al I secolo a.C., ma diffusosi molto sulle tavole nella prima metà dell‘800. Il colore Giallo paglierino luminoso ha naso che sa di ginestra e agrumi, frutta estiva matura, erba tagliata e note minerali di pietra calda. Assaggio sapido e rotondo, ben equilibrato tra morbidezza ed acidità e con piacevole persistenza fruttata. Ideale con antipasti, primi di pesce, fritture e torte rustiche. Gradazione: 12,5-13%.

Primo piatto:

Pasta alla Genovese

vino: Fiano di Avellino DOCG (Feudi di San Gregorio. Irpinia)

A dispetto del nome la pasta alla genovese è un piatto tipicamente napoletano! Con il termine “Genovese”, infatti, nel capoluogo campano si intende “il sugo alla genovese”, una salsa particolarmente densa che si ottiene cucinando quasi ritualmente a fuoco molto lento e per varie ore, carne e cipolle insieme a sedano, carota, pomodorini e foglie di alloro. Secondo la tradizione questo piatto fu inventato da cuochi liguri che risiedevano a Napoli, ma secondo un’altra ipotesi l’invenzione del piatto si deve a un cuoco napoletano che era soprannominato „ilgenovese“. Per preparare il “ragù dei poveri“ come veniva spesso chiamata la „genovese“ sono necessari, oltre al tempo: la cipolla ramata che deve sciogliersi completamente man mano che si mescola ; la carne  (lacierto, colarda o muscolo dello stinco) e la pasta. Questa dovrebbe essere “ziti” (spezzati a mano) detti anche: “maccheroni della zita” (sposa) perché di solito facevano parte del menu del pranzo di nozze oppure pasta adatta al ragù come penne, paccheri, maltagliati ecc.

vino: Fiano di Avellino DOCG

Il vitigno del Fiano, la “Vitis Apicia” fu portata sul territorio italico dai Greci che lo trapiantarono sul territorio della provincia di Avellino, a Lapio. Il Fiano era molto apprezzato dall’Imperatore Federico II di Svevia la cui corte ne acquistava grandi quantità. Si tratta di un vino bianco tra i vitigni autoctoni più intensi ed energici di tutto il mondo vitivinicolo nazionale. Giallo paglierino, rivela un ampio spettro olfattivo fatto di mela Golden, fiori di zagara, nocciola fresca e miele millefiori. Gustoso e sapido, ha buon corpo, bella acidità ed interessante finale fruttato. Si abbina a piatti a base di pesce e carne e la sua gradazione è di 12,5%.

 

 

Secondo piatto:

Salsiccia e friarielli

vino: Primitivo di Manduria

La domenica a Napoli non sarebbe veramente domenica se, oltre all’immancabile ragù, dovesse mancare sulle tavole la salsiccia con i friarielli. Sulla salsiccia i dubbi sono pochi, ma cosa sono i friarielli? A Napoli i “friarielli” sono quelli che a Roma vengono chiamati “broccoletti” che altro non sono se non le infiorescenze delle cima di rapa; e costituiscono un piatto tipico della cucina campana e non solo. Prendono il loro nome dalla loro preparazione: “Frijere” che in napoletano vuol dire “friggere” proprio perché particolarmente buoni se cotti in questo modo. Questi vengono, infatti, cucinati soffritti in olio d’oliva senza necessariamente una lessatura precedente, con aglio, sale e poco peperoncino rosso piccante. Nella tradizione gastronomica partenopea il binomio salsiccia e friarielli è proverbiale tanto che nel nominare a un napoletano l’uno, automaticamente si associa all’altra e viceversa. Si tratta di un cibo tipicamente di strada: il panino con salsiccia e friarielli è il re delle feste popolari e in molte pizzerie troverete questi ingredienti anche sulla pizza. In Campania e nel napoletano la loro coltivazione è talmente diffusa che il quartiere napoletano del Vomero, un tempo era conosciuto con il nome di “‘o colle d’ ‘e friarielle“.

vino: Primitivo di Manduria   

Furono probabilmente i Greci a portare in Puglia questo straordinario vitigno a bacca rossa oggi famoso in tutto il mondo. Per Primitivo di Manduria s’intende la varietà del vitigno coltivata a Manduria, Sava, Maruggio, Lizzano, e altri territori in provincia di Taranto e Brindisi. Ha un colore rosso tendente al violaceo ed all’arancione con l’invecchiamento. L’aroma è leggero e il sapore gradevole, pieno, armonico e tendente al vellutato con l’invecchiamento. L’aggettivo “primitivo” si riferisce alla caratteristica maturazione precoce delle uve rispetto ad altre varietà presenti in Puglia. Per le sue caratteristiche di colore, tasso alcolico e struttura, si adatta perfettamente ad essere anche un vino da taglio per dare vigore a rossi più deboli, ma il meglio di sé lo dà in purezza, trattandosi di un vino intenso ma, al tempo stesso, fine ed elegante. La gradazione è minimo del 13%

 

Pizze:

Margherita; Marinara; Calzone napoletano

vino: Primitivo di Manduria

La parola “pizza” deriva dal latino “pinsa”, forma del verbo pinsere, che significa “schiacciare”. Essa ha per base un impasto costituito di acqua, farina di frumento e lievito, che viene lavorato, fatto lievitare, schiacciato e cotto al forno e servito insieme a svariati condimenti: principalmente olio d’oliva, pomodoro e mozzarella. La pizza è un prodotto squisitamente mediterraneo come dimostra il fatto che la parola è presente, seppur con variazioni, anche in lingua greca, araba ed ebraica ed indicava un cibo preparato in modi diversi a seconda della zona geografica e del tempo storico. Gli antichi Romani preparavano una pizza a base di farina di farro e nei ricettari del XVI secolo è documentata una pizza servita con basilico, formaggio e pepe. La pizza così come la si conosce oggi in tutto il mondo è considerata un piatto originario dell’Italia meridionale e precisamente di Napoli, dove secondo la tradizione, verso la fine del 1800 fu creata la “Pizza Margherita” in onore della Regina Margherita di Savoia con pomodoro, mozzarella e basilico a rappresentare i colori della bandiera Italiana, ma in realtà questo modo di preparazione della pizza era già conosciuto fin dagli inizi del XIX secolo e la pizza già consumata per le strade della città fin dal secolo precedente. Agli inizi del ‘900, la pizza fu portata oltre oceano dagli immigrati italiani negli Stati Uniti d’America ma in principio rimase un prodotto consumato solo dagli Italiani e solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale si diffuse rapidamente in America ed ebbe un consenso tale  da diventare presto  il cibo preferito degli Americani.

Il segreto di una buona pizza, è, oltre allo scegliere prodotti di qualità, nella pasta ben lievitata ma sopratutto ben cotta La cottura è l’operazione più importante in quanto consente, se correttamente eseguita, di esaltare tutta la qualità del prodotto. Nei forni a legna, dove la pizza viene normalmente preparata, la temperatura del forno è di circa 500 gradi ed una temperatura del genere permette una cottura in meno di 2 minuti.

 

Dessert:

Pastiera e babà, Limoncello e, naturalmente, Caffé.

Il babà è un dolce da forno a pasta lievitata tipico della pasticceria napoletana. Nella sua versione odierna è la derivazione di un dolce a

lievitazione naturale originario della Polonia (babka ponczowa) il cui nome venne trasformato in “babbà” dai pasticceri napoletani che ne appresero la ricetta da pasticceri francesi. L’invenzione del babà si fa risalire al re polacco Stanislao Leszczyński, suocero di Luigi XV di Francia che, essendo privo di denti, inventò un dolce che non era difficile masticare. Le prime fonti partenopee sul dolce risalgono al 1836 quando il cuoco Angeletti scrisse un manuale culinario in cui è descritta la ricetta con uvetta e zafferano. La tecnica di impasto ed i tempi di lievitazione rappresentano due grandi segreti di questo rinomato dolce.

La pastiera napoletana è un dolce della cucina campana tipico del periodo pasquale, uno dei capisaldi della cucina napoletana e ha avuto il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale campano. La leggenda, che vuole la sirena Partenope creatrice di questa delizia, deriva probabilmente dalle feste pagane e dalle offerte votive del periodo primaverile. In particolare la leggenda è probabilmente legata al culto di Cerere. La ricetta attuale fu perfezionata nei conventi cristiani e divennero celebri le pastiere delle suore del convento di San Gregorio Armeno. La pastiera è una torta di pasta frolla farcita con un impasto a base di ricotta, frutta candita, zucchero, uova e grano bollito nel latte. La pasta è croccante mentre il ripieno è morbido. Nella ricetta classica gli aromi utilizzati sono cannella, canditi, scorze d’arancia, vaniglia e acqua di fiori d’arancio.

 

Per non dimenticare le persone meno fortunate, il proprietario del locale, Giorgio Bonelli, presente alla cena ha voluto donare l’incasso della serata alla missione delle Suore “della Carità di San Carlo“ di Praga,  per aiutarle nella loro opera di assistenza alle famiglie particolarmente disagiate della città.

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