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Dall’Arco al Louvre: Art nouveau, dolcini e letteratura nei gran cafè letterari praghesi

Di Amedeo Gasparini

Il quartiere di Malá Strana a Praga non è l’unico luogo di fasto e magia della capitale ceca. Tra questi si annoverano anche i gran cafè letterari che toccarono lo zenit della loro età dell’oro tra la fine del XIX secolo e la seconda metà degli anni Venti del XX secolo. All’epoca, come nella città gemella di Parigi, i caffè bohème di Praga erano luoghi d’incontro di letterati, scrittori, giornalisti, artisti e poeti. I vertici della cultura di allora s’incontravano nei grandi saloni talvolta affrescati d’Art nouveau, tra specchi e lampadari, lenzuolate di carta stampata, fumo di sigari, vini fruttati e torte multistrato. In alcuni caffè praghesi c’erano anche sale da biliardo e scaffali con libri, nonché un vasto assortimento dolciario. Col passare del tempo e la “vintageizzazione” dei luoghi da Belle époque, i gran cafè di Praga sono diventati un simbolo della capitale ceca.

Complice l’atmosfera di decadenza austroungarica, di impero multietnico in crisi, di novelle sui tavolini da caffè, di latte macchiato con brandy vicino alle poltrone di pelle scura, il caffè letterario boemo è un brand che attrae molti curiosi nella Città Vecchia di Praga. Tavolini dorati, tovaglioli ricamati, zuccherini variopinti e vassoietti argentati accompagnano le prelibate pietanze. Visitare oggi un gran cafè vuol dire fruire di un’esperienza esclusiva, un salto indietro nel tempo; vuol dire “vivere” un servizio che non c’è più nell’epoca del fast food. I conti alla fine delle consumazioni nei caffè dell’Art nouveau non sono salati. Non lo erano neppure un secolo fa, quando la musica accompagnava l’atmosfera chic della Prima Repubblica Cecoslovacca (1918-1938). Tra fine Ottocento e inizio Novecento il caffè letterario era un luogo di discussione e incontro tra intellettuali, noto per la sua misticità ed eleganza, nonché per le eccezionali figure che lo frequentavano.

Raramente nella Storia europea geni di tante nazioni si sono trovati allo stesso tempo nei medesimi luoghi. Un tale scambio culturale vide anche l’emergere delle prime forme di emancipazione femminile. Un tempo, le donne non erano tollerate nelle sale letterarie; la cosa cambiò nel corso del Novecento. Il periodo d’oro del gran cafè praghese corrispondeva al periodo centrale della Belle époque importata da Parigi. Rilevanti furono gli anni del nazionalismo cecoslovacco alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando nei caffè letterari si respiravano ottimismo e cultura. La fine degli Asburgo era celebrata nei caffè boemi, luoghi di connubio di menti straordinarie tra letteratura, pittura, giornalismo. La rivalità principe era tra tedeschi e cechi, ma non mancarono scambi letterari importanti tra le due culture all’interno di locali arredati da Alfons Mucha, Max Švabinský, Ladislav Šaloun, Karel Špillar e Mikoláš Aleš, che volevano fondere culture centroeuropee in uno stile che collegasse diverse arti. I letterati più raffinati usavano i caffè come se questi fossero i loro uffici.

Era qui che venivano create teorie e novelle, idee e modelli, storie e progetti. Praga era ospitale dal punto di vista culturale: raccoglieva a sé menti brillanti e, in questo senso, giocava la sua partita con Vienna, capitale dell’Impero asburgico. Passeggiare nel centro storico di Praga, tra un caffè e l’altro si aveva l’impressione di essere nella capitale francese, tra dolcetti e i pasticcini nelle vetrine, tentazioni di cannella e frutta, cioccolato e vaniglia. “Caffè”, inteso come locale in ceco si dice kavárna. Sebbene i cechi siano piuttosto orgogliosi della loro lingua, spesso sono i primi a intendere le loro caffetterie come cafè, adagiandosi sul vocabolo francese. Alcuni caffè di Praga sono noti come cafè, mentre altri conservano il nome in ceco – antica diatriba sorta proprio nei primi del Novecento, quando Praga guardava in tutti gli ambiti più a Parigi che a Budapest o Mosca. Anche Vienna inaugurò luoghi dove si gustavano ottime bevande e dolcini, accompagnati da un’aurea di intellettualismo centroeuropeo. Al Cafè Landtmann della capitale austriaca si recavano Sigmund Freud e Gustav Mahler, mentre al Sacher Stefan Zweig e Karl Kraus.

La stagione dei caffè letterari andò scemando con gli anni Trenta e le tensioni nell’ambito della cannibalizzazione nazista del territorio dei Sudeti. Se la Belle époque finì a Sarajevo, una seconda Belle époque al netto della Grande Depressione e dei totalitarismi europei morì proprio allora. Con essa, anche la tradizione del caffè letterario in stile d’Art nouveau. Con il colpo di Stato comunista nel 1948 in Cecoslovacchia gran parte dei caffè letterari chiuse i battenti. Il gran cafè praghese visse un momento di rinascita dopo la Rivoluzione di Velluto, anche dietro la spinta del presidente della Repubblica Václav Havel, frequentatore di questi luoghi, dove negli anni Settanta organizzava la resistenza al regime comunista. Oggi, il gran cafè è una meta per turisti, un elemento di cui la Boemia va fiera. Se il caffè dell’Art nouveau non è più oggi luogo d’incontro intellettuali, rimane pur sempre un angolo di Novecento dove osservare le ninfe dipinte dagli artisti cecoslovacchi e gustarsi torte glassate tra soffici mousse dolcetti a strati.

La prima tappa nell’ambito della riscoperta dei caffè letterari – e alcuni in stile d’Art nouveau – oggi, è la piccola Fantova Kavárna, presso la stazione centrale (Hlavní nádraží) di Praga. Chi arriva via treno nella capitale ceca può godersi sin subito l’atmosfera bohemienne di cui la città non è avara. Rinnovato di recente, il Fantova ha ampie vetrate e arcate beige; una sorta di antipasto dei gran cafè oltre la Wilsonova di fronte alla centrale. Esposte in vetrina, bottiglie di Chardonnay e cartoline con il fondatore della Prima Repubblica Cecoslovacca, Tomáš Masaryk. Corde scure spioventi e tese dal soffitto al parquet; gigantografie di femme fatale arredano il locale, dove a dominare sono il verde scuro e il giallo ocra. Qualche pianta qua e là, soffici schienali alla parete: il Fantova offre un balzo indietro a “come si viaggiava” ai primi del Novecento. Cappuccino e croissant al volo e poi sui vagoni.

Uscendo dalla stazione, procedere sulla sinistra, fino al Piazza San Venceslao. Se orientati verso il Můstek – avvolto nelle impalcature dei lavori architettonici – si nota il Grand Hotel Evropa, che comprende il Kavárna Evropa. Chiuso da qualche anno, il caffè-hotel era uno dei più esclusivi della capitale. Concepito nel 1872 dall’architetto Josef Schulz, venne ricostruito come edificio neorinascimentale nel 1905. La scritta color oro su sfondo turchese al vertice del palazzo, nonché gli infissi rossi ridipinti, ascrivono il complesso allo stile decò. Negli anni della Belle époque l’Evropa accoglieva l’alta borghesia in gran tour nel continente. Partendo dal Museo nazionale boemo, l’Evropa è il secondo albergo che attira l’attenzione tra quelli delle catene internazionali: il primo è il Meran; seguono il Zlatá Husa e l’Ambassador. Imboccare poi la Jindřišská, la strada che spezza Václavské náměstí.

L’Hotel Art Nouveau Palace è sulla sinistra. Un nome, una garanzia: il Café Palace compreso nell’edificio ad angolo con la Panská è un caffè raffinato. Elegante e suggestivo: all’interno, dominano il rosso e il nero. Il Cafè è di fronte al Museo Mucha è uno dei più famosi della zona. Quest’ultima è anche citata in documenti risalenti al 1378. Secoli dopo, l’edificio sorto nel frattempo divenne la sede del Prager Tagblatt, giornale d’ispirazione liberaldemocratica. Tra il 1903 e il 1909, l’architetto Georg Justich conferì al palazzo uno stile liberty. L’hotel che comprende il gran cafè venne aperto nel 1924 da Emanuel Oppel. Nel 1989 il locale rinacque e da allora ospitò tra gli altri: Henry Kissinger, Valéry Giscard d’Estaing, Jacqueline Kennedy, Alain Delon, Miloš Forman, Whoopi Goldberg, John Malkovich, Gina Lollobrigida, Uma Thurman e Steven Spielberg. Il segno del loro passaggio è nelle fotografie autografate nella sala principale del caffè.

Al pari dell’Evropa, anche la Kavárna Arco è chiusa da tanti anni. Il più conosciuto e famoso caffè letterario praghese del primo Novecento – tuttavia non in stile iconico da Belle époque – negli anni Dieci del Novecento l’Arco era una vera e propria istituzione a Praga, se non altro per i personaggi che lo frequentavano. Dal Palace, passare dunque sulla Opletatova e puntare verso la stazione Masaryk. Costeggiare l’Hybernská: si vedrà subito l’Arco, ai piedi di un palazzo color crema e all’angolo con la Dlážděná. Nascoste sotto un portico, le vetrine dell’Arco danno su muri imbrattati da scritte in spray. Accanto ad una gigantografia in bianco e nero di Franz Kafka – frequentatore dell’Arco – una vetrina apposita ricostruisce plasticamente gli interni del caffè di un tempo. Tavolino, tazzine e posacenere; quotidiani stesi: Le Soir, Prager Tagblatt e Národní politika. All’Arco, gli scrittori cechi di lingua tedesca facevano lunghi dibattiti.

La parte pubblica del caffè era divisa in tre aree: la sala principale, quella da biliardo, quella della lettura. La sala centrale era dominata da un gran tavolo rotondo in legno ed era collegata alle altre due, tappezzate da riviste, giornali e periodici stranieri e nazionali. Kafka adorava la “vita da caffè”: all’Arco incontrò per la prima volta la giornalista (poi sua traduttrice) Milena Jesenská, che a sua volta al caffè incontrò il futuro consorte, il critico letterario Ernst Pollak. Nel locale si radunava il meglio dell’intellettualismo cecoslovacco e centroeuropeo, tedesco e prussiano di primo Novecento. Al momento del suo massimo splendore, negli anni Dieci, l’Arco era il locale più famoso di Praga, il centro letterario della città. Gli interni furono ideati dall’architetto Jan Kotěra. Solo nel 1908, l’Arco era frequentato da eccellenze nei rispettivi campi.

Primo fra tutti, il grande amico di Kafka (e responsabile della fama dell’amico nel mondo) Max Brod, dunque i pittori Otakar Kubín, Emil Filla, Antonín Procházka, Willy Nowak, Georges Kars, Max Horb ed Ernst Wriss; i giornalisti Otto Pick, Alfred Fuchs, Ferdinand Peroutka e Willy Haas; i drammaturghi Franz Werfel, Antonín Macek e Paul Kornfeld; i poeti Franz Janowitz, Karel Poláček ed Else Lasker-Schüler; gli scrittori Paul Leppin ed Egon Ervin Kisch. Seguivano poi il critico d’arte Bohumil Kubišta, l’illustratore Bedřich Feigl, il dottor Hugo Salus, il satirista Kurt Tucholsky, il critico letterario Ludwig Winder e il musicista Oskar Baum. Con l’avanzare degli anni Trenta, molti di questi intellettuali furono oppositori del regime nazista che s’impose su Boemia e Moravia e si espressero a favore della “società aperta” che consentiva loro di incontrarsi in un luogo multietnico e multiculturale come il caffè praghese – Fuchs e Jesenská perirono poi a Dachau, rispettivamente a Ravensbruck; altri come Baum fuggirono all’estero. L’Arco divenne il quartier generale della letteratura tedesca a Praga.

Il proprietario dell’Arco, Josef Suchánek – che precedentemente aveva lavorato presso l’altrettanto prestigioso Cafè Union, all’angolo tra la Národní e Na Perštýně – era entusiasta del via vai letterario nel suo locale e aveva stabilito una sorta di codice di comportamento degli intellettuali nel cafè per garantire pace e libertà d’opinione. Negli anni antecedenti alla Prima Guerra Mondiale l’Arco era stato il punto di raccolta degli scrittori pacifisti a Praga. La fine della Grande Guerra vide il progressivo eclissarsi del cafè – la morte di Suchánek nel 1929 ne chiuse definitivamente l’età d’oro. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Arco cadde in rovina; il locale venne chiuso al pubblico negli anni Novanta. Sin dall’apertura nel 1907, uno dei punti di forza del caffè era che la sua vicinanza alla stazione secondaria di Praga e alla Plodinové burzy. Oggi il palazzo della kavárna appartiene allo Stato ceco e negli anni Novanta servì come mensa del ministero degli Interni.

Tutt’altro destino rispetto al suo grande rivale, a poche centinaia di metri in direzione Nord. Il Café Imperial aprì nel 1917 all’angolo tra Zlatnická e Na Poříčí. L’elemento architettonico dominante all’interno è il complesso mosaicato e in marmo bianco che ricopre arcate e colonne del locale. L’Imperial è uno dei più noti, conosciuti e apprezzati caffè artistico-letterari di Praga e non solo per le apparizioni televisive del cuoco che ci lavora, Zdeňek Pohlreich, lo chef più famoso della Repubblica Ceca, noto per la conduzione del programma “Ano šéfe!” (“Si capo!”). Le colonne si estendono dal parquet chiaro al soffitto colorato. Le tende semitrasparenti impediscono al passante di scrutare l’atmosfera opulenta all’interno. L’Imperial è alla base di un palazzone grigio e maestoso. Kafka preferiva l’Imperial all’Arco; lo scrittore Zdeněk Jirotka e compositore Leoš Janáček adoravano questo locale. Il Caffè si situa nella parte Nord del cuore cittadino praghese, meno romantico del centro storico per la sua vicinanza a binari e cantieri che abbruttiscono la zona.

Da oltre un secolo l’Imperial offre un servizio di pregio alla clientela, nonché un menù sofisticato. Guance di vitello al vino rosso, agnello con maggiorana e torta di datteri sono le prelibatezze in voga nel ristorante adiacente al cafè. La prima menzione scritta della casa all’angolo tra Na Poříčí e Zlatnická risale al 1383 – si legge negli archivi del caffè. Dopo il 1648, alla fine della Guerra dei Trent’Anni, il caffè si trasformò nella locanda “All’Aquila Nera”. Negli anni Dieci del Novecento l’edificio venne risanato e diede vita al lussuoso Hotel Imperial secondo le direttive dell’architetto Jaroslav Benediktdesign di Jan Beneš e interni di Josef Drahoňovský. Nei primi anni Quaranta, caffè-albergo divenne uno dei luoghi prediletti dalle forze occupanti tedesche; molti cecoslovacchi lo disertarono proprio per questo motivo. Nazionalizzato del 1948, per quarant’anni rimase inagibile; chiuse negli anni Ottanta e riaprì solo in seguito.

A pochi passi dall’Imperial in Piazza della Repubblica, l’Obecní dům (il municipio) rievoca rappresentazioni di snodi storici cruciali della Storia ceca. Nella casa municipale di Praga si trova uno dei caffè più sfarzosi e d’Art nouveau. Elegante, ospitale, caloroso, tra legno e marmo, il salone del gran cafè è la quinta essenza delle avanguardie novecentesche. Oggi è rinomato per i suoi articoli di pasticceria e il vasto assortimento del menù. Al caffè municipale sono diverse le combinazioni che si possono fare tra gulasch di Plzeň e cipolle caramellate, fagioli stufati, uovo fritto, funghi al forno, caviale in salsa olandese piuttosto che Emmental e cetriolini. A pranzo sono previsti paté di fegato e lamponi, patate fritte in senape di Digione, piuttosto che pomodori grigliati e formaggio di capra, verdure alla julienne e schnitzel. Nella bella stagione il caffè apre le terrazze che danno su Náměstí Republiky ed espone i suoi trionfi artistici sgargianti.

Il complesso della casa municipale ha fini decorazioni artistiche dei pittori Václav Jansa, Jakub Obrovský e Jan Preisler; nonché le opere degli scultori Josef Mařatka, František Uprka e Čeněk Vosmík. Sul luogo dove oggi sorge questo caffè, nel 1903 venne annunciato un concorso per progettare il complesso. L’appalto venne assegnato a Antonín Balšánek e Osvald Polívka, che seguirono le istruzioni del consiglio comunale, che voleva un edificio che dovesse includere aree per scopi cerimoniali, mostre, concerti, ristoranti, negozi. La casa municipale che ospita il gran cafè omonimo è uno dei massimi esempi di Art nouveau europea: inaugurata il 22 novembre 1912, fu al centro degli eventi che portarono alla proclamazione della Repubblica sei anni dopo. Neobarocco e Rinascimento, influenze orientali e occidentali si mischiano l’uno con l’altro. I marmi di Carrara sono un elemento caratteristico del cafè: i lampadari – progettati dall’inventore e ingegnere František Křižík – sono come una cascata di cristalli sospesi sulle teste dei clienti.

Il caffè dell’Obecní dům offre torte in marzapane e panna chiara, strudel e frutta, così come dolcetti al burro, tartine glassate e semifreddi. Il caffè è uno dei punti di confine tra Staré Město (Città Vecchia) e Nové Město (Città Nuova), una porta del tempo in contrasto visivo con la gotica e austera Torre delle Polveri. Il caffè accoglie fino a centocinquanta clienti che spesso colgono l’occasione per dirigersi verso la sala adiacente intitolata a Bedřich Smetana, compositore noto per “La Moldava” e “Ma Vlast”, la “mia patria”. Una patria, la sua, che ha sofferto molto nel corso del Novecento. E meno male che molti degli artisti che hanno contribuito a decorare l’Obecní dům non hanno visto gli obbrobri e gli sfregi che sia la dittatura nazista che quella comunista imposero al gran cafè. I rappresentanti della seconda, addirittura, definivano il complesso architettonico come un elemento borghese anacronistico. Il Partito Comunista Cecoslovacco (KSČ) intendeva distruggerlo, ma la fama della sala Smetana fu il principale deterrente alla furia rossa.

I comunisti non sembravano interessati a smantellare invece il Café de Paris di U Obecního domu, a due passi dalla precedente kavárna. Spostato verso la Città Vecchia, il complesso del cafè ospita anche hotel e brasserie. Il locale è modesto; di sera le luci sono fioche. L’hotel omonimo si riconferma nell’esclusività dei circoli culturali elitari dei letterati: oggi ospita il Rotary Club. L’entrata è cintata da un mosaico. Il cafè presenta diversi manifesti di primo Novecento: dal “Mazetti cacao” a quello con Anna Thibaud. Tappeti e fotografie in bianco e nero si alternano al marmo bianco e alle base in ottone dei tavolini. Il caffè riconduce alle atmosfere parigine degli anni Venti – la specialità del luogo non a caso è la torta “Paris”, basata su una ricetta del 1905. Progettato nel 1904, anche l’Hotel Paříž è in stile liberty, tra il neoclassico e il neogotico.

Nulla a che vedere con il caffè cubista di Praga, il Grand Orient Café in Ovocný – a principio della Celetná, la via dove il padre dell’autore de La metamorfosi, Hermann Kafka, aveva un esercizio commerciale. Nello stesso complesso si trova il museo dell’arte cubista e la Madonna nera di Josef Gočár. Chiuso nel secondo decennio del secolo scorso, il Grand Orient riaprì i battenti solo nel 2005 – non è dunque un caffè dell’Art nouveau in senso stretto e non era un centro d’intellighenzia multietnica. La chiusura è da addebitare al fatto che in Cecoslovacchia il cubismo passò presto di moda. Le specialità sono i pasticcini esposti in vetrina. Teneri dolcini pastosi al pistacchio verde, tentazioni al limone a forma di uovo, prelibatezze al lampone e al cioccolato. In linea con la pandemia di Covid-19, anche un dolcetto tondeggiante color carbone, con punte rotonde e rosse: raffigura il virus che ha messo in ginocchio il business dei caffè praghesi, ma che va a ruba.

Un destino analogo a quelli di tutto il mondo, compresi quelli di Parigi, dove sorge la collina di Montmartre, luogo da cui Praga ha tratto ispirazione nell’ambito dei caffè letterari. Il Café Montmartre lo si raggiunge percorrendo la Celetná fino alla Piazza della Città Vecchia (Staroměstské náměstí), dunque Piazza Malé, a destra sulla Karlova, a sinistra sulla Husova; entrare al numero 7 della Řetězová. Montmartre è la zona di Parigi dove tra il XIX e il XX secolo l’Art nouveau trionfò: il caffè omonimo venne fondato a Praga nel 1911 ed era gestito dal cantante Josef Waltner. Inizialmente noto come “U třech divých mužů” (“Ai tre uomini selvaggi”), l’artista chiamò il locale Montmartre in onore dei cabaret francesi, ma presto divenne noto come “Montík”. Kafka e Brod ci passarono alcune serate e spesso venivano raggiunti dal drammaturgo František Langer, i poeti Johannes Urzidil e František Gellner, gli scrittori Jaroslav Hašek, Eduard Bass, Gustav Meyrink e Gustav Roger Opočenský, il giornalista Matěj Kuděj, il regista teatrale Emil Artur Longen.

La gerenza del Montmartre oggi è fiera degli ospiti d’eccellenza che ospitava a inizio Novecento, ma questi, più che disquisire su letteratura e cultura, al “Monty” si concedevano serate goliardiche tra musica e risate. Compreso in un palazzo di color bianco e rosso slavato, all’interno del Montmartre dominano un gran bancone scuro, divanetti, arcate color pistacchio, nonché decine di tavolini in legno traballanti. A inizio Novecento, il caffè ospitava esponenti delle tre principali culture di Praga: ceca, tedesca ed ebraica. Era un luogo di comunanza culturale, oltre che di divertimento dei letterati. Al Montmartre si ballava; il cavatappi era sempre in azione, tra spumanti e vini, come si legge ancora sulla carte del cafè. Dopo avere gustato la pasta sfoglia e la panna servita su piattini di ceramica a tema floreale, tornare sulla Husova e percorrerla fino a Národní třída.

Con l’Imperial e l’Obecní dům, il Café Louvre è il classico caffè della Belle époque. Una volta rivaleggiava con l’Arco, l’Union e il Central – tutti scomparsi. Sarà la posizione tra la Moldava e il Můstek, ma ad attirare attenzione sul locale è anche la scritta rossa illuminata. Nelle foto d’epoca esposte nell’atrio del locale si vede che un tempo il Louvre anteponeva il termine kavárna a quello di cafè. Nato nel 1902, oggi come allora è attorniato da teatri e locali di musica. Aperto dalle 8 alle 23:30; per raggiungere il salone degli ospiti bisogna salire al primo piano del 22 sulla Národní. La sala principale è luminosa; molte le finestre che danno sui luoghi dove nel novembre 1989 si tennero le manifestazioni che portarono alla Rivoluzione di Velluto. Il cafè ha anche una terrazza interna e una sala da biliardo, dove in passato s’incontravano i migliori giocatori della città.

Il color rosa alternato al bianco sulle pareti richiama i dolci esposti all’entrata del locale: cheesecake, foresta nera, torte alla marmellata. Il Louvre offre un miscuglio equilibrato di cultura ceca e francese, in onore di un’amicizia – quella Praga-Parigi – promossa da Masaryk sin dal 1918. All’epoca, il Louvre inoltre era luogo d’incontro del Circolo tedesco di filosofia. Impressionante stare nel caffè dove sedevano Werfel (che aveva un tavolo a suo nome), Kafka e Brod (che uscirono dal club filosofico nel 1905), piuttosto che Albert Einstein, il matematico Georg Pick, l’astronomo Wladimir Wáclav Heinrich, gli illustratori Václav Špála e Jan Zrzavý, i giornalisti Jaroslav Seifert (Premio Nobel per la Letteratura nel 1984) e Oskar Kraus (noto per le sue critiche alla Teoria della Relatività), lo psicologo sperimentale Josef Eisenmeyer. Gli artisti Emil Pacovský, Josef Váchal e Jan Konůpek qui diedero vita all’associazione artistica Sursum.

Nel 1915 l’attività del caffè si espanse nel seminterrato dell’edificio – la cantina del Louvre si chiamava “Catacombe”, omaggio alle catacombe parigine. Il 15 febbraio 1925 al Louvre si tenne il meeting fondativo del PEN Club, presieduto dallo scrittore Karel Čapek. Per l’occasione, l’ospite d’onore fu Masaryk, che dal Castello di Praga scese al caffè dell’allora Ferdinandově třídě. Su questa strada, dopo la Seconda Guerra Mondiale, nella loro folle furia antiborghese i comunisti buttarono dal primo piano del Louvre sedie e divanetti. Fu solo a partire dal 1992 che il caffè rinacque. Nel loro scambio epistolare, Kafka e Brod parlano del Louvre, cosa che sottolinea l’importanza di questo caffè. Kafka si disse impressionato dal fatto che molti si facevano arrivare le telefonate al caffè invece che a casa. Uscendo dal Louvre proseguire verso la Moldava.

Sempre sulla Národní, s’incontra la Kavárna Národní, uno dei più rinomati caffè della città, specialmente nel suo lustro d’oro, tra il 1923 e il 1928. Un’ampia parete di vetro e legno all’interno ospita decine di bottiglie e bicchieri a stelo. Nella scelta dei menù delle colazioni ci sono fino ad otto tipi di uova, tra croissant con prosciutto e formaggio, olive, cheddar e chorizo. Muffin, marmellata, pancakes, bacon e salmone. Contenuto e non sfarzoso all’interno, il NK dà al visitatore l’impressione di una Belle époque sobria. Nato nel 1918, sin da subito ospitò l’intellighenzia del tempo: a dominare erano le tematiche politiche. Nella vetrina del caffè sono esposti i ritratti dei grandi che hanno fatto sosta al caffè: il poeta surrealista Vítězslav Nezval; il poeta simbolista e uno dei fondatori del KSČ Stanislav Kostka Neumann; il pittore Josef Čapek, fratello di Karel, che perì a Bergen Belsen; e il drammaturgo Vladislav Vančura, ucciso a Kobilisy nell’ambito della vendetta nazista per l’attentato a Reinhard Heydrich nell’estate 1942.

Terzo ed ultimo caffè letterario sulla Národní, all’angolo con Smetanovo nábřeží e vista sul Castello di Praga e i tetti di Malá Strana, il Kavárna Slavia è oggi forse il caffè più famoso di Praga. Fondato nel 1884, ha un enorme salone che dà sul Teatro nazionale (Národní divadlo) e l’isola Střelecký. Ai piedi di Palazzo Lažanský, lo Slavia è un’istituzione per i praghesi. Era il preferito di Havel, che tra il caffè e il teatro “La ringhiera” poco distante organizzava la resistenza al regime comunista. Frequentato dal compositore Antonín Dvořák e da Nezval, Kafka e il poeta Rainer Maria Rilke, ospitò molti dibattiti politico-culturali. Stesso destino del Café Savoy. Attraversato il ponte di Legii, sulla Vítězná, il caffè è come protetto dagli alberi che gli fanno ombra. Ecco che la Moldava si trasforma nella Senna: il Savoy è il più parigino dei caffè praghesi. Costruito nel 1893, rinnovato nel 2004, l’eterno Kafka lo frequentò specialmente nei primi anni Dieci; un secolo dopo avrebbe ospitato anche le lunghe chiacchierate tra Havel e l’ex segretaria di Stato americana, Madeleine Albright.

Tra i candelabri e i lampadari in cristallo, il Savoy offre un vasto assortimento di vini. Tra gli champagne si annoverano lo Stephanus Riesling, il Prosecco di Valdobbiadene, il Dom Perignon; tra i bianchi lo Chardonnay della Moravia e il Sauvignon; tra i rossi il Merlot, il Chianti, il Pinot Noir, il Cabernet. Il menù serale è raffinato: insalata di zucchine, zuppa di pollo, tartare e toast, gnocchi al formaggio, anatra e pasta fresca. Il cafè è sulla guida Michelin; se ci si entra, si capisce il perché. Oltre ai vini e alle colazioni in grande stile, il Savoy è un locale luminoso e in stile neoclassico, con vetrine ed arcate articolate. I lampioni di sera fanno luce sul menù scritto in gesso ai bordi della porta d’entrata: dentro, una parete il legno chiaro con centinaia di bottiglie. Il locale è quasi un invito a improvvisarsi sommelier e lasciarsi tentare dai numerosi vini della casa.

Situato ai margini meridionali della riva Ovest della Moldava, il Savoy è lontano dalla Città Vecchia e potenzialmente – se non fosse così famoso – sarebbe un luogo di pace rispetto al trambusto dei locali del centro. Con i caffè d’oltre Moldavia, il posto condivide una storia tortuosa: chiuse a meno di vent’anni dopo la sua apertura a causa dello scoppio della Grande Guerra. Dopo il conflitto del 1945, il KSČ lo usò come deposito. Addio per mezzo secolo alle ghiotte e lussuose colazioni del Savoy. Assieme al caffè si possono gustare deliziose torte fatte in casa, prima di uscire verso i giardini di Kampa, quelli che portano all’interno di un’altra magia. Non quella dei raffinati caffè boemi letterari, ma dell’incantevole Malá Strana, fino alla salita a piedi – se lo stomaco non è troppo pieno dopo un tour gastronomico-letterario – al Castello di Praga.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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