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Festival Architecture Week 2013

L’oggetto e lo spirito di questa edizione del Festival Architecture Week 2013 – Praga, Convento di San Giorgio al Castello 23.9/20.10.2013 –, organizzata sotto il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia in Repubblica Ceca e dell’Istituto Italiano di Cultura con il contributo e la collaborazione della Fondazione Eleutheria, sono stati i beni culturali e la loro fruizione in rapporto con lo sviluppo dell’architettura e dell’ambiente contemporaneo.

Si è trattato di un’esposizione multimediale, composta da pannelli esplicativi, videoproiezioni su schermi lcd, e oltre duecento modelli architettonici tridimensionali, provenienti da oltre 30 Paesi di tutto il mondo.

La mostra era suddivisa in diverse sezioni ma un’attenzione particolare è dedicata ai monumenti inclusi nella lista mondiale del patrimonio Unesco.

In questo contesto il ruolo dell’Italia in quanto culla dell’architettura e del restauro e sede del maggior numero di siti Unesco del mondo, ben 49, non poteva non giocare un ruolo di primo piano.

Rappresentare le istanze della cultura di un Paese è un compito arduo che nel nostro caso diventa quasi impossibile, tali e tanti sono i casi di interesse. Crediamo tuttavia che la scelta fatta in questa occasione possa essere riuscita interessante sia per gli addetti ai lavori che, soprattutto, per il grande pubblico.

Venezia e Firenze, città d’arte universalmente conosciute, si ripropongono con due dei loro principali poli d’attrazione: I Giardini della Biennale con le architetture dei suoi padiglioni, vero e proprio compendio di storia sempre in rapporto con le nuove istanze dell’arte e la Galleria degli Uffizi che con il suo restauro e la recentissima apertura di 24 nuove sale propone una rinnovata esperienza cognitiva di una collezione d’arte unica nel suo genere.

La chiave di lettura sta nel difficile e spesso contrastato rapporto tra permanenza e trasformazione, conservazione e sviluppo del patrimonio; ancora più difficile in questa fase di conclamata crisi economica che conduce ad una drastica e spesso forzosa riduzione delle risorse disponibili.

 Common Pavillons

 Il progetto Common Pavilions è stato concepito per la Biennale di Architettura di Venezia che si è tenuta dal 29 agosto al 25 novembre 2012.

 Diener & Diener (uno studio di architetti di Basilea) hanno deciso di esperire lo spazio tra l’architettura e la sua percezione ed hanno invitato il fotografo Gabriele Basilico ed un gruppo di autori, affinché parlassero dei trenta padiglioni nazionali che si trovano nei Giardini della Biennale di Venezia. La mostra è un luogo di discussione sulle forme architettoniche. A differenza delle consuete discussion degli architetti qui il dibattito è introdotto e alimentato da autori di diversa estrazione, critici e specialisti.

 I trenta padiglioni costruiti nell’arco di quasi un secolo tracciano lo sviluppo dell’architettura contemporanea su scala internazionale. Il visitatore si trova così al centro dei Giardini della Biennale, dove questi edifici, nati come contenitori d’arte ma deprivati del loro contenuto, appaiono come luoghi di meditazione circondati dalla natura, talvolta santuario, talvolta cimitero.

 Alcuni padiglioni sono stati rinnovati, ampliati o trasformati dal tempo della loro costruzione, e  spesso questo è accaduto in conseguenza delle trasformazioni politiche e stilistiche delle nazioni che rappresentavano. Il padiglione tedesco, ad esempio, costruito nel 1909, venne demolito e ricostruito nel 1938 sotto il regime Nazional socialista. La svastica, simbolo nazista collocato sopra l’ingresso, venne rimossa dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1945.

 L’elisione del fruitore, la mancanza del pubblico, la cancellazione dell’immanenza restituisce il senso profondo della permanenza.

 «Quando con Adele Re Rebaudengo e Roger Diener abbiamo deciso di raccontare questo luogo veneziano ricco di incanti, avevamo di fronte a noi due possibilità: i momenti concitati e intensi durante le esposizioni internazionali – che si sviluppano per un terzo di un anno solare – oppure il letargo che invade i Giardini per il resto dell’anno. Da subito ci è sembrata più interessante la seconda opzione. È emozionante visitare i Giardini senza il fiume umano che li invade, osservare i padiglioni – architetture solitarie abbandonate nell’attesa, con una corporeità fisica silenziosa – nel loro stato latente, senza il rumore del consumo espositivo (G. Basilico)».

 Le fotografie di Basilico, che ancora una volta predilige il grande formato, il bianco e nero, l’assenza di margini, il lirismo del vuoto, la luce come evento rivelatore dell’architettura, non sono appese alle pareti ma poggiate su una lunga mensola. Questa soluzione permette una riduzione delle distanze e una rottura della formalità, consentendo all’osservatore di risentire e rivisitare la propria emozione percettiva, avvertita camminando tra i padiglioni dei Giardini.

 I nuovi Uffizi

 Il progetto dei nuovi Uffizi costituisce un esempio importante di come si possa conservare e nello stesso tempo modernizzare una delle più grandi collezioni d’arte del mondo, riproporla in modo nuovo e più efficace e soprattutto senza mai interromperne la fruizione continua da parte dei visitatori che si contano in circa 8-9000 persone al giorno.

 Il cantiere attualmente in fase di esecuzione porta avanti il progetto messo a punto nel Febbraio del 2004 e la variante elaborata nel 2009. Il complesso vasariano è reinterpretato come insieme di comparti sia dipendenti dalla galleria sia indipendenti a formare uno straordinario insieme di opportunità culturali senza nulla togliere all’importanza storicamente consolidata dell’antico e prestigioso museo, ma anzi ampliando la gamma delle fruizioni possibili ad esso collegate in una visione orientata verso il servizio ai visitatori.

 L’intervento principale è senza dubbio il recupero dell’intera infilata di sale del piano nobile degli Uffizi, ma non solo; il restauro permetterà il collegamento tra i due piani del percorso espositivo, il recupero di ambienti da dedicare a spazi museali (le Sale delle Scuole Straniere), l’ampliamento dei servizi agli studiosi (la nuova sistemazione del Gabinetto Fotografico con il suo immenso archivio storico) e l’ampliamento degli spazi di servizio al museo.

 Con le sale inaugurate nel giugno di quest’anno si completa l’ala di ponente del piano nobile degli Uffizi, un traguardo importante anche sotto il profilo quantitativo. Infatti con i circa 1400 mq degli ambienti che visiteremo – e che vanno ad aggiungersi ai 450 mq nell’ala di levante terminati a febbraio – sono ben 1850 i metri quadrati di nuovi spazi espositivi che, da gennaio ad oggi, il cantiere ha definitivamente riconsegnato alla vita della galleria.

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Ora nell’ambito del percorso Nuovi Uffizi, come si è detto, i visitatori, dopo aver percorso il secondo piano, scendono dalla nuova scala realizzata nell’ex cortile della Vecchia Posta, accedono alle Sale Blu dei Pittori Stranieri, aperte nel dicembre 2011 e finalmente possono proseguire al primo piano e imboccare l’infilata di Ponente.

A proposito della scelta del colore blu per questo corridoio intervallato da sei “gabinetti” nei quali hanno ritrovato posto e dignità, tra le altre, opere di Rembrandt, Bruegel, Rubens, Van Dyck vale la pena di citare il direttore degli Uffizi Natali:

Gli ambienti, insistendo su una porzione del museo estranea alla fabbrica di Vasari, hanno dato agio di svincolarsi dall’incombenza – fin troppo osservata finora – di conformarsi alla bicromia vasariana: grigio della pietra serena e bianco delle pareti. Una bicromia cui s’attennero Gardella, Michelucci e Scarpa, progettando i sei vani che sono stabilmente annoverati nei manuali di museologia del Novecento (dalla sala delle tre Maestà a quella dei Pollaiolo), e ch’è stata riproposta nei due vani fedelmente ispirati a quelle loro invenzioni (la sala dei Lippi e quella di Leonardo). E però è una bicromia che, seguitando per tutto il circuito di visita, alla fine si risolve in un biancore generalizzato che rischia d’avere più il sapore dell’infermeria che la dignità dell’astrazione. Nelle sale dei pittori stranieri, allora, ho chiesto di prendere in considerazione un colore invece vibrante, anzi acceso: nel caso specifico, il blu; quello che più sembra confacente, per motivi culturali e di gusto, alle opere per cui quelle sale sono state pensate.” 

Il lungo ambiente dietro alla Loggia dei Lanzi, immaginato e voluto come uno spazio di sosta e di riposo -“necessario non solo per alleviare la stanchezza del corpo, ma anche per dar modo alla mente e al cuore di distillare i sensi generati dalla lettura delle tante opere osservate”- ospita la galleria dei marmi ellenistici, che si stagliano su un rosso profondo e grave, ispirato alle tonalità cremisi così amate dai Medici, filo conduttore dell’allestimento.

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 Nelle Sale della ‘maniera moderna’ , invece, il colore non si stende sulle pareti vasariane, per le quali si è mantenuta la classica associazione del bianco con il grigio della pietra serena; invade invece le quinte tecnologiche, volutamente trattate come pannelli effimeri, ben distinti dalle pareti e destinati ad ospitare i quadri, ma originate dalla necessità di contenere la complessa impiantistica che originariamente si pensava di alloggiare nello spazio tra il pavimento e l’estradosso delle volte, scelta che si è dovuta abbandonare per rispettare le complesse strutture rinvenute sotto al pavimento nel corso dell’esecuzione dei lavori. Come per le Sale dei Pittori Stranieri, anche in questo caso la fabbrica ha infatti imposto, con la sua magnifica tirannia, l’esigenza di affinamenti progettuali accanto a vere e proprie modifiche del progetto che hanno comportato indagini accurate e approfondimenti necessari per rispettare le novità strutturali emerse nel corso dei lavori, fornendo comunque un’ulteriore occasione per una conoscenza sempre maggiore degli aspetti concreti, fisici, pienamente materici dell’architettura.

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“Nell’infilata, che d’ora in poi senza diaframmi si percorrerà da lì al verone sull’Arno, saranno esibiti i dipinti del Cinquecento cui maggiormente aspira la più parte dei visitatori. Movendosi dalla stanza su via Lambertesca si troverà, in ordine, la pittura a Roma nella prima metà del Cinquecento, il Correggio, il Parmigianino, Giorgione, Tiziano e, infine, Moroni e i lombardi: sei sale che consentiranno a chi abbia minore disponibilità di tempo un percorso più breve, che però vivamente s’auspica venga sempre meno preferito all’altro (più articolato e vario), giacché negli ambienti che sull’infilata s’affacciano e che, comunque, sono accessibili quasi da ogni sala della sequenza sul piazzale, saranno presto esposte creazioni d’altissimo tenore poetico. E davvero sarebbe disdicevole venissero reputate di rango inferiore. Bastino i nomi d’alcuni artefici (peraltro rappresentati nella collezione degli Uffizi da più di un’opera): Dosso Dossi, Barocci, Tintoretto, Veronese, e via di seguito.

Nella consapevolezza amara della diffusa (ma, grazie a Dio, non universale) aspirazione a entrare in Galleria per esser partecipi d’un rito collettivo di venerazione di poche reliquie, eleggeremo a nostra missione la ricerca di metodi e di sistemi per invogliare i visitatori ad addentrarsi nelle sale votate a testi ragguardevoli ma meno promossi dall’industria culturale.”

 Dal bianco e nero delle fotografie di Gabriele Basilico ai colori dei Nuovi Uffizi il filo conduttore unico è quello dell’opera d’arte come poesia contro il consumo espositivo.

Un tema che Antonio Natali ha voluto più volte sottolineare anche nel corso della sua visita a Praga durante la quale sono state gettate le basi di un progetto di collaborazione volto a proporre alcune delle opere della Galleria fiorentina nella capitale ceca.

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Guido Carrai – Curatore del Padiglione Italiano del Festival Architecture Week 2013

 

 

 

 

 

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