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“La cucina italiana fuori dal Mondo”. Intervista all’astronauta Paolo Nespoli sulla gastronomia nello spazio.

In occasione della VIII edizione della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, iniziativa promossa annualmente dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, con il fine di valorizzare all’estero le eccellenze enogastronomiche italiane, l’Ambasciata d’Italia a Praga e l’Istituto italiano di cultura hanno organizzato, in collaborazione con numerosi partner tra cui l’ICE, l’ALTEC e l’Accademia italiana della cucina, un evento dal titolo “La Cucina Italiana fuori dal Mondo”, con una cena-conferenza in compagnia dell’astronauta Paolo Nespoli che ha raccontato storie, aneddoti e curiosità sul tema del cibo nello spazio.

 Il celebre astronauta italiano di fama mondiale, nel 2007 consumò a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) il primo pasto a base di prodotti esclusivamente italiani, evento organizzato in collaborazione con l’Accademia italiana della cucina. A partire da allora molti dei “piatti” richiesti dagli astronauti italiani sono stati apprezzati e consumati anche da colleghe e colleghi di altre nazionalità creando una sorta di brand della cucina italiana nello spazio. Tra gli esempi più significativi ci sono i prodotti della ditta Tiberino e la cioccolata di Gobino. Anche l’acqua minerale a bordo della ISS parla italiano: tutti gli astronauti bevono infatti l’acqua confezionata dalla SMAT, la Società Metropolitana Acque Torino che ha inviato a Praga, in occasione della cena, dei campioni delle bottiglie preparate per i voli sulla ISS. Alla cena praghese con Nespoli, presieduta dall’Ambasciatore Mauro Marsili e dall’Addetta spaziale dott.ssa Maria Cristina Falvella, hanno partecipato membri dell’Accademia italiana della cucina, tra cui il delegato per la Repubblica Ceca, Claudio Pocci, diplomatici, manager, rappresentati delle aziende coinvolte, ed esponenti del mondo della cultura e dell’imprenditoria italiana e ceca. Ospite della serata anche il dott. Umberto Cavallaro, che ha gentilmente fornito per la serata una mostra dedicata al tema “cibo e spazio“.

A Praga, Nespoli, ha inaugurato anche un modulo progettato per la permanenza degli astronauti sulla Luna in programma nel 2026. La visita dell’astronauta si è conclusa con due conferenze: “Human Space Endevours: today, Tomorrow, after tomorrow and after-after tomorrow” che ha entusiasmato gli studenti dell’Università Tecnologica di Praga accendendo un interessante dibattito sul futuro dell’esplorazione umana dello spazio, e “Life on Space Station” presso il Planetario della città. 

Abbiamo approfittato della presenza a Praga di Nespoli per fargli qualche domanda sull’interessante e poco noto tema della cucina nello spazio.

MR Lei è l’astronauta italiano che è stato più tempo sulla Stazione Spaziale Internazionale, ci può dire qualcosa sui diversi “menù” offerti sulla ISS?

PN Il cibo nello spazio sembra una cosa semplice, ma in realtà è una questione molto complessa. Quando sei a casa, prendi due patate, le cucini ed è tutto facile, ma nello spazio le cose stanno diversamente. Prima di tutto bisogna tener presente che il cibo che prepari oggi, nello spazio potresti doverlo mangiare tra sei mesi o anche tra un anno, lasciandolo lì sul tavolo per tutto il tempo. Se questa cosa la si facesse a casa, il cibo si deteriorerebbe, perderebbe le sue qualità e potrebbe diventare addirittura nocivo. Nello spazio, invece, questo accade di regola, e quindi le agenzie spaziali hanno dovuto trovare dei sistemi per confezionare degli alimenti che possano sostenere il viaggio e soprattutto durare a lungo. Inoltre il cibo spaziale deve essere un po’ vario, venire incontro, per quanto possibile, ai gusti degli astronauti, deve essere vitaminico, proteico e aiutare a rimanere in salute in un ambiente dove anche il corpo degrada rapidamente a causa della microgravità. Ecco perché diventa una cosa complessa.

Quando gli americani hanno iniziato per la prima volta a lavorare sul cibo per le missioni spaziali – mi vengono in mente lo Skylab e poi lo Shuttle – si sono focalizzati soprattutto sul fare del cibo di breve durata, e cioè per missioni di 10-15 giorni. Fin qui la cosa era relativamente semplice. Bastava fare un carico per la navicella una settimana prima della partenza e il gioco era fatto. Quando però si tratta di cibo per la ISS, allora il discorso cambia. Vuol dire che devi mandare del cibo in orbita, prepararlo molto tempo prima e tenere in conto che il tempo di consumo può essere anche di un anno, e quindi le cose si complicano. Mentre sullo Shuttle ci sono dei menù già pronti e ti chiedono cosa vuoi mangiare, sulla ISS questo non è possibile. E siccome non è pensabile “customizzare” un menù persona per persona, è stato studiato un menù che possa più o meno adattarsi a tutti. Il cibo viene confezionato in dei pacchetti che una volta aperti durano circa 15 giorni e quindi normalmente noi astronauti quando apriamo un pacchetto, mangiamo subito quello che ci piace e poi piano piano il resto in ordine di preferenza, fino a che gli ultimi giorni si mangiano le cose che piacciono meno. Poi, però, ci si è resi finalmente conto che il cibo è qualcosa di più rispetto a quello che la NASA pensa. La NASA vedeva il cibo solo come il carburante per la macchina uomo, e quindi guardava solo alle proteine, alle calorie, alle vitamine e a cose così. Ma per noi italiani il cibo è qualcosa di più. Per noi è una cosa sociale, deve venirti voglia di mangiarlo! Dopo due o tre giorni che mangi un “blob” informe e insapore ti viene voglia di buttarlo fuori dalla finestra se ce ne fosse la possibilità. E quindi anche alla NASA hanno finalmente capito che bisogna tenere in considerazione anche altri fattori. Quando hanno cercato di porre rimedio a questa cosa non sono riusciti a trovare una soluzione semplice e quindi hanno fatto una cosa molto intelligente: hanno preso il menù e lo hanno diviso in quattro, e un quarto di esso viene procurato all’astronauta dall’agenzia da cui dipende. E questa cosa ha fatto sì che si creasse una sorta di competizione tra le entità gastronomiche nazionali che si sfidano per trovare delle soluzioni che siano compatibili con le esigenze della ISS – il cibo deve essere lavorato e confezionato in un certo modo, non certo puoi mandare su il gulash fresco! – e al tempo stesso però siano gradite agli astronauti. In tutte e tre le mie missioni è stata proprio l’Agenzia spaziale italiana a confezionare questo quarto di menù, che oggi si chiama “bonus food”, e che serve per venire incontro ai gusti degli astronauti. Ad esempio gli americani amano il pepe e quindi si fanno mandare cose molto pepate… Questione di gusti.

MR Quali sono le sue preferenze in quanto a “cibo spaziale?” So che lei ha pochissime esigenze e pur potendo beneficiare del suo “bonus food” non si è fatto preparare mai nulla su richiesta, ma ha sempre optato per cose già testate dai suoi colleghi, mi conferma?

PN Sì, ma le voglio raccontare un aneddoto.

Un giorno, mentre ero in missione nello spazio ho fatto un collegamento con una scuola americana. Il collegamento durava un’ora ma, stranamente, dopo quarantacinque minuti avevano già finito tutte le domande. Un alto manager della NASA che conoscevo era presente in quella scuola perché ci aveva studiato, e allora approfittando dei dieci minuti rimasti mi ha chiesto cosa ne pensavo del cibo americano che avevamo sulla ISS.

Ora io certo non potevo dirgli quello che pensavo davvero sul cibo americano… allora per sdrammatizzare gli ho detto che qualche giorno prima mi era venuta voglia di pizza e per scherzo avevo preso il telefono – sulla ISS c’è un telefono – e avevo chiamato una pizzeria vicino casa mia. Avevo ordinato una pizza e alla domanda del gestore su dove consegnarmela, gli avevo risposto che avrebbero dovuto mandarla sulla Stazione Spaziale. Immaginate la reazione del proprietario. A un certo punto vedo che questo manager della NASA si gratta la testa e dopo un po’ mi dice di non preoccuparmi perché “si sarebbero inventati qualcosa”. Qualche settimana dopo arriva alla ISS una navicella di rifornimento. Deve sapere che queste navicelle normalmente portano tonnellate e tonnellate di materiale. E mentre stavamo agganciando la navicella, Huston chiama e ci dice che nel cassetto 425 c’è una sorpresa per noi. Agganciata la navicella siamo andati subito a vedere cosa c’era nel cassetto 425 e troviamo degli scatolotti che sembravano quelli delle “pizzette catarì”, non so se le ricorda… Allora abbiamo preso queste cose e abbiamo “assemblato” le pizze. Bene, avevano mandato quattro pizze per sei astronauti! Ora, dico io: con un veicolo che porta su venti tonnellate di materiali, perché tu mandi quattro pizze per sei astronauti?! Vede, questa è una cosa culturale, vaglielo a spiegare agli americani…

Sempre per quanto riguarda il “bonus food”, poi, sono stati mandati dei prodotti italiani per farmi sentire un po’ a casa e io li ho sempre utilizzati per organizzare una cena italiana con gli altri, per far vedere che il cibo, per noi italiani, è anche una cosa sociale che serve per parlare e stare insieme, e non solo a nutrire il corpo.

MR Come vengono selezionati e preparati gli alimenti destinati a una missione spaziale?

PN Anche questa è una cosa complessa e sia la NASA sia le altre agenzie spaziali si sono avvicinate a questo problema per trovare delle soluzioni, e hanno cosi creato quattro tipi di cibi: quelli disidratati, quelli termostabilizzati, quelli irradiati e per finire ci sono i cibi secchi, come i biscotti, la cioccolata i semini, le prugne secche ecc. che possono resistere a temperatura ambiente per qualche mese. Ad esempio i cibi irradiati sono normalmente delle carni imbustate e messe sotto azoto che vengono fatte passare sotto una fonte di raggi gamma, così la bistecca non va a male neanche dopo un anno, e quando la apri, senti questo odore, come se fosse uscita da un barbecue.

MR Ci sono alimenti o bevande che, per le loro caratteristiche e per i loro possibili effetti sul corpo umano in condizioni di gravità ridotta, non possono essere consumati nello spazio?

PN La categoria dei liquidi, ad esempio, è una categoria particolare. Di solito tutti i liquidi che sono sulla ISS sono basati sull’acqua alla quale possono venire aggiunte delle polverine solubili come caffè, tè, succhi di frutta e cose del genere. Gli americani non possono vivere senza caffè e quindi ce n’è davvero tanto. Io invece non bevo caffè e durante la prima missione ho bevuto solo ed esclusivamente acqua. La NASA mi chiedeva di continuo quale caffè volessi, visto che ne hanno dodici tipi e ne fanno un pacchetto personalizzato per ogni astronauta e glielo mandano. Io rifiutavo sempre e loro continuavano a chiedermelo. Siamo andati avanti così per mesi fino a quando mi hanno mandato una nota arrabbiata perché, secondo loro, stavo intralciando il “meccanismo di gestione del cibo sulla ISS” non dando questo input. Così alla fine ho detto: ok, mandatemi il caffè! Quando è arrivato, ho preso il mio pacchetto e ho chiesto agli altri se lo volevano. Tutti mi hanno detto di no e che ne avevano già abbastanza, e allora l’ho preso e l’ho gettato nella spazzatura.

C’è invece un problema con le bevande gassate perché il gas nella bevanda non si distribuisce come avviene sulla terra. Una volta hanno provato a portare dello champagne, ma è successo un casino, non si riusciva a berlo e quindi hanno lasciato perdere. L’acqua sulla Stazione, poi, è una cosa particolare, perché viene da terra, ma poi viene riciclata di continuo, per cui c’è sempre la battuta tra gli astronauti che “il caffè che bevi oggi sarà anche quello che berrai domani”. Lo si beve, si va in bagno… esce fuori… e te lo ribevi di nuovo.

Per quanto riguarda cibi che non vanno bene, in realtà non saprei. Va bene tutto a meno di avere allergie. Ricordo, ad esempio, che una mia collega non poteva mangiare carni di animali che hanno le piume, e quindi pollo, tacchino, volatili… E siccome sulla stazione il pollo c’è, doveva stare sempre attenta a non mangiarlo.

MR Quali sono le difficoltà nel mangiare e bere in assenza di gravità?

PN Il problema principale è che le cose non stanno ferme sui tavoli. In realtà non ha neanche senso avere un tavolo sulla ISS perché non puoi metterci niente. Le cose non è che volano, ma tendono a non stare dove le si lascia. Sulla Terra, non ce ne rendiamo conto, ma quando prendiamo qualcosa la tocchiamo sempre prima con un dito e poi con l’altro. Nello spazio non si può perché appena tocchi qualcosa questa schizza via e tu vai a riprenderla, pensi di averla presa e invece vola via di nuovo. La stessa cosa ovviamente capita anche con il cibo, per cui se non è umido – più il cibo è umido e più si attacca alle pareti del contenitore – vola via. Quando noi mangiamo, prendiamo una busta nella quale il cibo è contenuto, tagliamo l’orlo della confezione con delle forbici, e la busta diventa il tuo piatto. Usi un cucchiaio lungo e delle forbici, non ci sono forchette e coltelli. Con questo cucchiaio da cocktail lungo, che arriva al fondo della busta, mangi tutto senza nessun problema. Se il cibo non aderisce bene alle pareti della confezione, vola via. Ad esempio un gioco tipico degli astronauti è quello di usare gli m&m’s. Se ne prende qualcuno in mano, si apre la mano e questi si disperdono ovunque sulla ISS. E poi vai in giro due ore a cercare questi m&m’s che sono dappertutto, e alcuni li ritrovi anche mesi dopo.

Ci sono degli spazi adibiti a tavolo, ma non funzionano secondo i principi del tavolo a terra. Quando sono andato sulla ISS c’era un tavolo istallato dagli astronauti dello Shuttle in mezzo a un corridoio, e io ci sono sbattuto contro due o tre volte, finché un giorno ho chiesto a Huston di poter riarrangiare l’arredamento della Stazione, e ho smontato il tavolo trovandogli una posizione diversa, quasi verticale, così da guadagnare molto spazio e farlo diventare più utile. E così questo tavolo nella nuova posizione è stato usato per dieci anni, finché nell’ultima missione, siccome ormai era vecchio, ne hanno mandato su con lo Shuttle uno nuovo per sostituirlo. Ma siccome gli astronauti dello Shuttle non sono “extraterrestri”, perché vengono sulla ISS, rimangono tre giorni, e finita la missione ritornano a casa, continuano a pensare in termini terrestri, l’hanno montato agganciato a una parete un’altra volta come era prima. Allora ho chiesto di nuovo alla NASA se potevo spostarlo, ma ho capito che non era cosa gradita, e quindi ora quel tavolo lì sopra sta di nuovo così.

MR Come viene gestita la nutrizione durante le missioni spaziali per garantire che gli astronauti ricevano tutti i nutrienti necessari, e quale era la sua routine alimentare giornaliera nello spazio quando è stato in missione?

PN Il cibo è stato preso seriamente dalle agenzie spaziali perché nel corso delle prime missioni ci si è resi conto che gli astronauti nello spazio perdevano molto peso. Purtroppo, però, non avevano perso grasso corporeo, ma massa muscolare, e quindi doppio problema. Allora le agenzie hanno iniziato a catalogare ogni busta con un barcode, così quando un astronauta mangia, scannerizza il barcode e quello che ha mangiato va a finire nella sua scheda, e a fine giornata sa esattamente quante proteine, calorie, vitamine ecc. ha mangiato.

Inoltre, quando sei nello spazio, in teoria lavori meno ma, paradossalmente, per evitare di perdere peso, devi mangiare ancora più calorie di quelle che mangeresti sulla Terra. Una cosa completamente contro intuitiva, eppure è così. Se ad esempio sulla terra ho bisogno di 1600 kcal, nello spazio me ne servono 2200. A volte arrivavo alla sera e mi rendevo conto che mi mancavano 500 kcal e allora me ne andavo in giro a cercare quei dolci degli americani ipercalorici e pieni di zucchero. Delle bombe incredibili. Sentivo i denti che mi scrocchiavano, ma dovevo mangiarli per colmare il gap calorico. Dovevo fare così, perché a terra c’è un nutrizionista che ti controlla e che settimanalmente ti invia un report nel quale scrive se devi prendere più vitamina C oppure D… e ti dice quali cibi devi andare a mangiare. C’è dunque da dire che la parte tecnica, per quanto riguarda il cibo è molto ben seguita, un po’ meno, invece, quella sociale.

Sicuramente quando andremo su Marte le agenzie dovranno fare anche i conti anche con questi aspetti.

MR Per un astronauta mangiare è importante, ma ovviamente non soltanto nello spazio. Ci sono delle regole o dei dettami per l’alimentazione quotidiana degli astronauti sulla Terra?

PN Direi di no. La scelta dei cibi sulla Terra è lasciata agli astronauti. C’è però da dire che spesso, prima di una missione, ti fanno mangiare il cibo che troverai sulla ISS per quattro o cinque giorni perché devono fare dei test e hanno bisogno che tu sia controllato su quello che hai mangiato. Per il resto un astronauta può mangiare quello che vuole perché in linea di massima non è mai obeso o sottopeso.

MR Nel 2007, nell’ambito della missione spaziale STS-120, per celebrare l’arrivo alla ISS di un modulo “Made in Italy”, offrì ai suoi compagni di equipaggio il primo convivio spaziale della storia a base di cibo Italiano. Facevano parte del menù fregola sarda con peperoni, brasato al Barolo e ricci di mandorle prodotti in Sicilia. Quell’evento fu promosso dall’allora delegato dell’Accademia italiana della Cucina di Miami, Emanuele Viscuso, che persuase la NASA, l’Agenzia Spaziale Italiana e l’ESA, della necessità di offrire agli astronauti non solo un pasto per la sopravvivenza, ma un qualcosa di speciale. Ci vuole raccontare qualcosa di quell’evento?

PN Al tempo il “bonus food” non esisteva. Quelli erano tempi in cui la NASA riteneva di aver risolto la questione del cibo. Ma qualcuno continuava a dirgli che non era proprio così, e cioè che mancava tutta la fase sociale legata alla convivialità, il condividere il pranzo o la cena, e il fatto di essere tutti insieme in un posto speciale. Gli americani questa cosa non la capivano. E quindi attraverso Viscuso, grazie all’Agenzia Spaziale Italiana che finalmente si era fatta convincere a sponsorizzare questa cosa con la NASA, è stato organizzato questo esperimento che poi ha dato origine al famoso “bonus food”, la razione personale di cibo pari al 25% del totale a cui hanno diritto gli astronauti. Da allora qualcuno ha chiesto la fregola, qualcuno lo sgombro, Samantha Cristoforetti, se non sbaglio, ha chiesto la spirulina, un’astronauta belga si è fatta portare del foie gras … Ciascuno le sue cose preferite. Ovviamente si parla sempre di cibo che rispetta certi criteri e standard. Ad esempio nell’ultima missione io mi sono fatto portare del prosciutto crudo.

MR Ipotizzando delle lunghe permanenze in orbita o in viaggio verso la Luna, Marte o altri pianeti, come immagina potrebbe essere il cibo per le future astronaute e astronauti, magari in una colonia spaziale?

A me personalmente piacerebbe che ci fosse del cibo semplice e genuino. Un cibo che fosse possibile cucinare direttamente sulla Stazione o sull’astronave. Oggi questo non è possibile. Sulla ISS non ci sono neanche forni a microonde. L’unico modo per riscaldare appena del cibo è un sistema fatto di piastre ed elastici. Si mette la busta sotto queste piastre e dopo tre minuti si è un po’ riscaldata, intorno ai 30 o 40 gradi, perché una delle regole sulla ISS è che niente può essere a una temperatura che possa provocare delle ustioni. Quindi non possono esserci fiamme e cose ad alta temperatura. Ma un domani, probabilmente, anche questi limiti potranno essere superati.

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