ArtInterviewsItalian

Intervista all’artista ceco David Černý. Conversazione su arte e censura.

Nato a Praga nel 1967, David Černý è diventato uno degli artisti cechi più noti e controversi. Dalla giovinezza sotto il regime comunista alla fondazione del MeetFactory, il suo percorso unisce talento, coraggio e un’irriverente visione del mondo.

Provocatore, dissacrante, allergico alle etichette. David Černý è senza dubbio l’artista ceco più controverso degli ultimi decenni. Le sue installazioni hanno fatto il giro del mondo: dall’Unione Europea rappresentata come un grande puzzle di stereotipi nazionali, alla scultura di San Venceslao rovesciato e cavalcante un cavallo morto, fino alle sue opere monumentali più recenti come la “Head of Franz Kafka”, l’enorme testa metallica rotante nel cuore di Praga, e la “Pink Tank”, il carro armato sovietico dipinto di rosa che scatenò un caso politico internazionale. Černý non cerca mai di piacere: preferisce disturbare, scuotere, costringere a prendere posizione. Nella sua Praga è una figura centrale, anche grazie al MeetFactory, spazio culturale che ha fondato e dirige, ma la sua voce risuona ben oltre i confini cechi. In questa conversazione senza filtri, parla di censura, politica, arte e memoria del comunismo, con lo stesso linguaggio diretto e spigoloso che caratterizza le sue opere.

D: Oggi, da artista, teme di più la censura o l’indifferenza?

R: Senza dubbio la censura. In Europa è ormai un fenomeno evidente, anche se molti fingono che non esista. Ridiamo della Cina, ma in realtà stiamo facendo la stessa cosa: loro almeno ammettono che controllano l’informazione, noi no. Qui si continua a dire “non lo facciamo”, ma di fatto tutto ciò che si scrive è sorvegliato.

D: Il comunismo le ha lasciato più ferite o ispirazione?

R: Né ferite né ispirazione, ma un’esperienza fondamentale. Lo ringrazio quasi: mi ha mostrato quanto fosse terribile. E mi ha dato la capacità di riconoscere i segnali del suo ritorno, perché il comunismo mascherato è ancora ovunque.

D: Se dovesse descrivere la politica ceca di oggi con una sola parola?

R: Mancanza di palle.

D: L’arte deve provocare o consolare?

R: Può essere entrambe le cose.

D: C’è un’opera che non rifarebbe più?

R: Probabilmente Saddam Hussein nell’acquario.

D: Perché è diventato dissidente così giovane?

R: Non lo sono mai stato davvero. Certo, ero contro il regime, sono stato fermato e anche in carcere per brevi periodi, ma non ho mai avuto il tempo di diventare un vero dissidente.

D: Eppure i media la presentano così.

R: È una semplificazione.

D: Qual è il ricordo più forte di quel periodo?

R: Il carcere, senza dubbio.

D: Subiva maltrattamenti?

R: Qualche volta sì. Negli anni Novanta mi hanno anche picchiato, con i pugni, non con i manganelli.

D: Quanto queste esperienze hanno inciso sulla sua arte?

R: Non sta a me dirlo. Ma hanno segnato tutta la mia vita. So cos’è la repressione, cos’è la censura e la capacotà di resistere a un regime.

D: Come giudica la legge ceca che vieta la propaganda del comunismo?

R: Vent’anni fa aveva senso. Oggi non so: vietare un’ideologia non serve. Negli Stati Uniti non è vietato nulla. È paradossale: da un lato non si possono dire certe parole, dall’altro puoi sfilare con la bandiera nazista. In linea di principio, non bisognerebbe vietare niente. È come se oggi si proibisse di celebrare Napoleone. Prima o poi anche in Germania capiranno che vietare Mein Kampf è anacronistico.

D: Qual è il ruolo dell’arte oggi?

R: Nessuno. È solo panna montata sulla torta.

D: E sulla guerra in Ucraina?

R: È chiaro da che parte sto: contro la Russia. Ma alla fine, ciò che interessa davvero all’Europa è avere un cuscinetto tra noi e la Russia nazista.

D: Chi l’ha ispirata di più?

R: Da giovane copiavo i grandi, per esempio Dürer. È normale: si inizia sempre imitando.

D: C’è stato un momento di svolta nella sua vita?

R: Dopo il diploma in elettronica ho deciso che non l’avrei mai fatta. Prima ancora sognavo di diventare pilota da caccia. Oggi sono pilota professionista: magari un giorno lascerò l’arte per volare soltanto.

D: Quali reazioni del pubblico l’hanno colpita di più?

R: Le peggiori sono sempre stupidità e invidia. In Repubblica Ceca c’è questo atteggiamento: non importa se muore il mio cane, basta che muoia la capra del vicino.

D: È molto conosciuto a Praga ma meno in Europa. Perché?

R: Non è vero, ho fatto molte mostre in Europa. Semplicemente non mi interessa fare networking all’estero. Il mio centro è qui, al MeetFactory che ho fondato.

D: Che consiglio darebbe a un giovane artista ceco?

R: Di cambiare mestiere. Di fare arte solo come hobby. Mia figlia, ad esempio, prima deve studiare fisica. L’arte potrà farla dopo, la sera, per sé.

Giulia Nardová

Show More

Related Articles

Close
Close