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Intervista a Claudio Pocci, Delegato dell’Accademia Italiana della Cucina a Praga

Il 23 aprile Claudio Pocci, ingegnere e Delegato dell’Accademia Italiana della Cucina a Praga, ha organizzato insieme a Carlo Capalbo e RunCzech e con il patrocinio dell´Ambasciata d’Italia  Praga,  un evento che ha messo al centro il legame tra sport, nutrizione e cucina italiana, mostrando come un’alimentazione equilibrata possa fare la differenza anche ad alti livelli agonistici. In questa intervista Pocci racconta l’esperienza e riflette sul ruolo della cucina italiana nel mondo: tra tradizione e innovazione, lotta ai falsi made in Italy e iniziative culturali per promuovere l’autenticità gastronomica. Un viaggio appassionato in cui la cucina diventa ambasciatrice di cultura, identità e benessere.

Fondata nel 1953 e riconosciuta nel 2003 come istituzione culturale della Repubblica Italiana, l’Accademia Italiana della Cucina ha il compito di tutelare e promuovere la cucina italiana, catalogando ufficialmente le ricette tradizionali come patrimonio culturale. Il suo obiettivo è difendere l’autenticità della gastronomia italiana, soprattutto all’estero, contrastando il fenomeno dei falsi ristoranti italiani che ne alterano l’immagine.

Claudio Pocci, nato nel 1964 a Campiglia Marittima e cresciuto a Venturina, in Toscana, è un ingegnere e imprenditore italiano. Dopo una breve esperienza a Milano, si è trasferito a Praga nel 1995, dove vive da oltre trent’anni. Dal 2016 fa parte dell’Accademia Italiana della Cucina e nel 2023 è stato nominato Delegato della Delegazione di Praga. Nel 2024 ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere della Stella d’Italia, conferitagli dal Presidente Sergio Mattarella per il suo impegno nella promozione della cultura italiana all’estero. Coniugando passione per la gastronomia e spirito imprenditoriale, Pocci ha saputo ideare e organizzare eventi di rilievo internazionale che valorizzano la cucina italiana.

CB: Da dove è nata l’idea di organizzare l’evento del 23 aprile con RunCzech?
CP: Ho sempre avuto la passione per lo sport, pratico canottaggio e corro da sempre, ho partecipato alla maratona di New York. L’idea di unire queste due passioni, sport e cucina, mi è sembrata naturale. Ho voluto creare un evento che promuovesse una visione sana e equilibrata, dove la cucina italiana, nota per i suoi piatti nutrienti e vari, si sposasse perfettamente con i valori dello sport perché credo fermamente che siano un binomio perfetto per trasmettere valori di benessere, equilibrio e autenticità.

CB: La cucina italiana è famosa per essere piuttosto ricca, ma può conciliarsi con le esigenze di chi pratica sport ad alto livello? C’è un piatto della tradizione che considera ideale per gli sportivi?
CP: Proprio perché è ricca e varia, la cucina italiana permette di seguire una dieta bilanciata. La sua grande disponibilità di materie prime e la capacità di creare piatti gustosi consentono di bilanciare l’alimentazione, un elemento fondamentale per gli sportivi. Ad esempio, è possibile regolare l’apporto di carboidrati, grassi buoni e proteine in base alle esigenze specifiche dell’atleta. Un piatto che considero ideale per chi fa sport è il risotto con parmigiano e olio d’oliva, semplice ma completo, che fornisce energia, minerali e nutrienti importanti.

CB: Quali sono le principali iniziative e i progetti futuri dell’Accademia Italiana della Cucina?
CP: L’Accademia promuove la cucina italiana attraverso iniziative come la collaborazione per la Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, promossa dall’Ambasciata e il Ministero degli Esteri. Stiamo anche progettando eventi come la Conviviali presso Enti Istituzionali italiani e cechi e siamo sempre pronti a cogliere nuove opportunità per far conoscere la nostra tradizione gastronomica. Inoltre collaboriamo ai corsi, degustazioni ed eventi organizzati da Mauro Ruggiero e l’Istituto Italiano di Cultura, celebrando la cucina italiana come un patrimonio culturale. Un progetto emblematico dell’Accademia è stato quello con l’astronauta Paolo Nespoli, che ha portato la cucina italiana sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), simboleggiando l’universalità dei nostri piatti. Grazie a questa iniziativa, è stato introdotto il concetto di “bonus food” sulla ISS, dove il 25% degli alimenti scelti per gli astronauti viene selezionato direttamente da loro. Molti astronauti scelgono piatti italiani, dimostrando l’apprezzamento globale per la nostra gastronomia. Queste iniziative contribuiscono a consolidare la nostra identità gastronomica nel mondo, facendo crescere l’apprezzamento globale per i nostri piatti.

CB : L’Accademia Italiana della Cucina sta lavorando affinché la cucina italiana venga riconosciuta come patrimonio immateriale dell’umanità dall’UNESCO. Perché questo riconoscimento è così importante per la cultura gastronomica italiana?
CP:
Il riconoscimento UNESCO è fondamentale per tutelare e preservare la cucina italiana come patrimonio culturale vivente, che non riguarda solo le ricette, ma anche le tradizioni, i valori e i territori che la rendono unica. Questo riconoscimento ci permette di proteggere la nostra cultura gastronomica dalle distorsioni e di promuovere a livello globale un’immagine autentica e sana della nostra tradizione culinaria. L’Accademia, attraverso questa candidatura, vuole celebrare la cucina italiana come un elemento di identità nazionale che continua a evolversi nel rispetto delle radici storiche e culturali del nostro Paese.

CB : Quali sono stati i momenti più significativi della sua carriera che l’hanno portata alla presidenza dell’Accademia a Praga?
CP: Sono un imprenditore quindi considero questa attività un servizio al nostro Paese. Quando un italiano vive all’estero, sente la responsabilità di portare la propria cultura. Sono entrato nell’Accademia come accademico, poi nella consulta direttiva, e infine come delegato. Non ci sono stati antagonismi, è stato un percorso naturale. Ho portato idee per dare maggiore apertura all’attività della delegazione e un coinvolgimento più forte con il pubblico locale, anche attraverso eventi come la conviviale in Parlamento.

CB : In Repubblica Ceca avete iniziative per educare ai benefici del mangiare sano?
CP: Assolutamente sì. Facciamo un censimento dei ristoranti italiani e li inseriamo in un database consultabile anche online, utile anche ai cittadini cechi. Abbiamo dieci accademici cechi nella delegazione di Praga, che rappresentano un importante veicolo di diffusione della nostra cultura gastronomica. Sempre con l’Istituto Italiano di Cultura organizziamo serate a tema con studenti cechi che studiano italiano. In due occasioni sono andato io stesso a cucinare, spiegando le ricette e raccontando le storie che ci sono dietro ai piatti.

CB Come si difendono e si promuovono le tradizioni gastronomiche italiane in un mondo globalizzato?
CP: Con l’onestà nel proporre prodotti tipici e trattarli nel modo corretto. Ad esempio, un amico ristoratore sardo a Praga ha avuto grande successo proponendo piatti autentici, preparati con ingredienti originali, senza compromessi. È proprio la cucina tradizionale, senza compromessi che viene apprezzata, anche da un pubblico internazionale.

CB: Quali sono i più grandi equivoci o stereotipi sulla cucina italiana all’estero?
CP: Ce ne sono tantissimi. Uno dei più comuni è l’uso improprio degli ingredienti: per esempio, la pasta col pollo, che in Italia non esiste. All’estero spesso gli ingredienti italiani vengono messi insieme in modo arbitrario e inappropriato, snaturando i piatti. L’equivoco è pensare che basti usare prodotti italiani per fare cucina italiana, quando invece conta il modo in cui vengono combinati e preparati.

CB: Qual è il ruolo della cucina italiana nella sostenibilità?
CP: La cucina italiana si basa sull’uso di ingredienti freschi e di alta qualità, con una particolare attenzione alla stagionalità, alla provenienza locale e il Km0. Una cucina e una tradizione che valorizza i prodotti naturali nella loro forma migliore. Questo approccio è molto vicino ai principi di sostenibilità, poiché si concentra sull’uso di materie prime semplici e accessibili, riducendo al minimo lo spreco e promuovendo la biodiversità attraverso la scelta di prodotti locali e stagionali.

CB: Qual è, secondo te, il giusto equilibrio tra innovazione e tradizione in cucina, e qual è un piatto che ritieni sia stato modernizzato con successo?
CP: La cucina, come ogni altra creazione dell’uomo, evolve nel tempo. La tradizione e l’innovazione possono convivere e rafforzarsi a vicenda. Ad esempio, oggi è possibile proporre crudi di mare grazie alle nuove tecnologie di conservazione e trasporto, cosa impensabile in passato. La cucina italiana, codificata da Pellegrino Artusi nel 1891, è già cambiata rispetto a quella del 1700, e questa evoluzione è naturale. Innovazione e tradizione non sono antitetiche, ma possono arricchirsi a vicenda, come nel caso della pasta con crema di limone e tartare di gamberi, un piatto che unisce l’innovazione nella preparazione dei crudi di mare alla tradizione culinaria italiana. Quanto ai piatti che hanno perso identità, non ce ne sono molti, poiché le ricette tradizionali vengono solitamente riproposte nel rispetto della loro autenticità.

CB: Se dovessi scegliere tre piatti per raccontare l’Italia a chi non la conosce?
CP: La minestra di farro, che adoro e preparo spesso anche per ospiti importanti; gli spaghetti, simbolo della nostra cucina; e naturalmente la pizza, probabilmente la parola italiana più conosciuta al mondo. La forza della cucina italiana è che bastano poche parole – pizza, pasta, parmigiano – per identificarla, e questo non è comune a tante altre cucine. Il mio piatto del cuore resta comunque la minestra di farro, perché racchiude semplicità, autenticità e sapore.

Giulia Nardová

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