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Con Václav Bělohradský sulla paura dell’Islam e dell’ISIS, la guerra in Ucraina, il fondamentalismo, la globalizzazione e la giustizia.

Václav Bělohradský è uno dei più noti intellettuali e filosofi contemporanei cechi. Per Gariwo, Giardino dei Giusti di Praga e Café Boheme, abbiamo avuto l’imperdibile occasione di intervistarlo durante una conferenza sul futuro del pianeta tenutasi presso l’Università di Hradec Králové. I temi trattati sono i più disparati, uniti dal filo conduttore della scottante attualità e delle sfide che il futuro impone al mondo presente.

Signor Bělohradský, durante la conferenza ha parlato della società dell’eccesso, quali sono oggi gli eccessi ad esempio nell’approccio che abbiamo verso l’Islam e il fondamentalismo in generale? Anche questo è un eccesso? Stiamo esagerando o si tratta di un eccesso giustificato?

È necessario inserire il concetto di eccesso in un qualche contesto. In Italia ho visto per esempio a Taranto la manifestazione degli operai della fabbrica Ilva che manifestavano per il diritto di questa fabbrica di inquinare sotto lo slogan “il cancro è possibile, ma la morte per fame è sicura”. In sostanza davano la precedenza al pericolo del cancro da inquinamento rispetto alla perdita del lavoro. Questo è una specie di eccesso, significa cioè che la situazione dei lavoratori, ovvero questo bisogno del lavoro è un eccesso che ci spinge ad accettare una minaccia tale come l’inquinamento che causa la morte dei bambini per cancro. Un altro eccesso del genere è naturalmente la guerra nucleare già a partire dalla seconda guerra mondiale. La guerra nucleare è un tipo di eccesso incorporato direttamente nel nostro sistema. Ciò che chiamiamo l’ordine mondiale è basato sull’eccesso, un tempo chiamato ombrello nucleare, oggi attacco o guerra nucleare. Ci sono esperti che se ne occupano e che analizzano la situazione in cui l’attacco nucleare possa essere una soluzione razionale. Questo è un altro eccesso che viviamo. Un altro eccesso è il riscaldamento globale perché le esternalità, ovvero le ricadute negative del nostro comportamento sugli altri, ci accompagna sin dall’inizio, si pensi ai laghi artificiali di pesca. Quando in questo paese vennero creati questi laghi artificiali nella Boemia del Sud le ricadute sull’agricoltura e il paesaggio furono enormi, ma in qualche modo si trattò di esternalità accettabili, mentre ad esempio l’esternalità del riscaldamento globale è un eccesso. Quindi direi che la globalizzazione è in realtà una specie di estremizzazione di quello che conosciamo da sempre, per esempio appunto le esternalità, ovvero l’impatto del nostro comportamento in un ambiente tecnologico che causa appunto il riscaldamento globale. Dunque questo eccesso non è altro che la normalità. È un eccesso che fa parte della nostra normalità. Nel nostro sistema l’eccesso è in qualche modo incorporato. Ad esempio nell’eccesso del consumismo, ci sono troppi rifiuti, milioni di tonnellate di rifiuti. Viviamo nell’eccesso come se fosse la normalità, questo è quello che volevo dire nello studio che lei ha citato. Allo stesso modo abbiamo un eccesso anche nella quantità esagerata di leggi. Un certo eccesso di burocrazia. Ma tutto questo fa parte della nostra normalità, il mio intento era di descrivere questo rapporto tra la normalità e l’eccesso.

Qual è a suo dire la situazione attuale della società europea, in particolare in relazione a quello che sta accadendo in Ucraina e in Grecia?

Si tratta di due situazioni molto diverse. Secondo me il problema dell’Ucraina va inserito nel contesto del tentativo dell’America di essere l’unica potenza ovvero di creare un mondo unipolare dove nessuno potrà mai più essere suo concorrente. Esistono vari filosofi politici che ritengono che questo sia una garanzia per la democrazia. Il fatto che gli Stati Uniti in qualità di superpotenza democratica saranno più forti, allora la democrazia non sarà più minacciata, così ragionano alcuni conservatori, questa è la loro visione del mondo. Ma dal mio studio della storia a partire dai tempi del liceo fino al mio esilio in Italia ho capito che l’idea di un impero mondiale è una specie di fantasma che si ripresenta regolarmente ma che finisce in catastrofe. Per questo penso che anche questa idea americana di un impero americano porterà alla catastrofe. Dobbiamo ribellarci, ed è proprio questo il problema della restaurazione imperiale, ovvero del potere sovrano sulla base degli accordi multilaterali e di una nuova qualità nella comunicazione e di un nuovo ruolo dell’ONU. Purtroppo invece di avvicinarci ci stiamo allontanando da questo ideale. È questa secondo me la situazione chiave dei nostri tempi.

In che modo l’Europa dovrebbe reagire alla minaccia rappresentata dall’ISIS, lo stato islamico? Quale posizione dovrebbe assumere?

Quello che definiamo come minaccia islamica non è altro che il risultato della politica occidentale dei paesi europei. È conseguenza del fatto che, dopo la fine del mondo bipolare, non abbiamo reagito di fronte al fatto che la guerra fredda ha avuto luogo nel terzo mondo. Lì ci sono stati migliaia di morti, per contare soltanto i golpe dei paesi non europei, ad esempio l’Africa. Dopo la fine della guerra fredda noi europei, che eravamo i portatori dell’idea del colonialismo, siamo noi i colpevoli, avevamo una posizione diversa dagli Stati Uniti verso il terzo mondo.   Per noi il terzo mondo avrebbe dovuto essere il problema morale numero uno. E dopo la fine della guerra fredda dovevamo anche ripulire i rifiuti della guerra fredda lasciati nel terzo mondo. Quello che chiamiamo Islam, problema islamico, Talebani, stato islamico, guerre nel mondo arabo, tutto questo sono i rifiuti tossici della guerra fredda. Chi finanziò i Talebani contro l’Unione Sovietica? Fu il presidente Nixon. Chi finanziò una parte dell’Africa contro l’altra? Furono i francesi, per esempio, che regolarono così la loro politica estera. Quindi l’Europa dopo il 1989 avrebbe dovuto definire nei confronti del terzo mondo una sorta di responsabilità di base verso il terzo mondo. Questo è il problema più grande. Non lo ha fatto e per questo questa discarica di rifiuti tossici è insorta contro di noi. La abbiamo creata noi e non la abbiamo ripulita. Quindi è colpa nostra naturalmente, e i problemi dell’Islam oggi non vengono affrontati né nei paesi arabi né da noi, ma tramite un accordo su come terminare la guerra fredda nei paesi arabi. Penso che stia cominciando una nuova guerra fredda, in Ucraina sta già diventano una guerra calda, e la guerra fredda prosegue nei paesi europei. L’Iran, la Siria, forse anche la rivalità russo-americana, oggi la Cina sta entrando massicciamente nel terzo mondo come attore, quindi il problema non è l’Islam, noi siamo il problema. Il problema sono quei rifiuti tossici nel terzo mondo che non abbiamo ripulito.

Oggi si parla anche tanto di quale sarà il futuro del multiculturalismo. Qualcuno dice che in Europa ha fallito e che questo modello non funziona, qualcun altro cerca di trovare un’altra strada.

Io respingo il multiculturalismo perché si tratta di un’interpretazione banale del fatto che viviamo in una società multietnica dove esistono varie cucine, varie lingue, ma in realtà questa non è una società multiculturale. La società multirazziale è quella dove un modello culturale compensa la paura causata dalle differenze etniche. Ho citato l’esempio di un uomo di colore che nell’uniforme di generale francese saluta la bandiera francese. Questa è assimilazione. Ma la società multiculturale sarebbe quella dove le differenze razziali o etniche non sono solo compensate dalla cultura, ma al contrario fonda il diritto alla differenza culturale, e quindi porta al timore causato dalle differenze. Ovunque sottolineo che di tradizioni ce ne sono tante, ma che la cultura è una. In che senso è una? La cultura è una ribellione contro la tradizione, è la critica razionale delle proprie tradizioni. Ognuno di noi nella propria casa storica, nel mondo, in qualche modo combatte contro i pregiudizi, la tradizione, in fondo la discriminazione degli omosessuali, delle donne, delle minoranze, tutto questo faceva parte della tradizione. Ancora oggi la cultura ceca è una delle più antisemitiche in Europa. Il poeta classico Jan Neruda scrisse anche il libro “Per la paura ebraica” per il quale oggi andrebbe in carcere perché è incitazione contro gli ebrei. Addirittura in autori come Havlíček potete trovare argomenti antiebraici. All’epoca di Masaryk addirittura suo figlio si doveva vergognare perché era a favore degli ebrei. Allora questa è la tradizione ceca. Questa non va difesa. Recentemente ho letto che sta tornando la ripugnante tradizione dei roghi delle streghe. Se fossi una femminista allora manifesterei contro il ritorno di una tale tradizione. È una delle tradizioni più ripugnanti che esistano e che, a modo suo, legittima la violenza contro quelli che pensano in modo diverso, anche se soltanto in forma ritualizzata, carnevalesca. Quindi non sono certo un amante delle tradizioni, sono un sostenitore convinto dell’Illuminismo. Ogni tradizione deve avere diritto alla propria riproduzione di fronte al tribunale della ragione. O la accetto o la rifiuto. E là dove una persona rifiuta la tradizione rischia la vita. Quindi il multiculturalismo ha dimenticato l’essenza di tutte le culture, ovvero che le culture sono una ribellione contro la tradizione. Ad esempio in Guatemala potete trovare tra i Maya tutta una serie di ribelli contro la propria tradizione. Esistono molti conflitti nei paesi africani. Quindi lo stato deve poggiare sulla cultura, sulla ribellione contro la tradizione. Questa è la tradizione liberale in cui credo.

Lei è un filosofo rinomato, le vorrei quindi chiedere quale ruolo può avere oggi la filosofia e il pensiero filosofico per aiutare l’Europa e la nostra civiltà a trovare un nuovo elemento aggregante, una nuova via?

Bene, prima lei ha citato la Grecia, che rappresenta un problema che ora non possiamo qui analizzare, ma io direi che potremmo cancellare ai greci quel debito per la loro filosofia. Platone, Aristotele ne valgono la pena, cancelliamo il debito. D’altra parte l’eredità della filosofia è ambivalente. Atene, per esempio, era un potere di sterminio. Prendiamo per esempio la guerra tra Sparta e Atene e l’episodio recentemente tradotto benissimo da Luciano Canfora, il dialogo dell’isola dei Meli. Esiste anche un dramma ceco di Karel Michal “Noi cittadini di Meli”, dove gli ateniesi offrono loro di arrendersi, loro si rifiutano e gli ateniesi li sterminano e vendono le donne e i bambini come schiavi. Quindi si tratta di un’eredità contraddittoria, da quell’idea di Atene e Roma abbiamo ereditato anche l’idea del totalitarismo e di un impero unico. Quindi è necessario guardare al lascito della filosofia con cautela. C’è poi il cristianesimo che a modo suo rappresenta anche un’eredità. Quindi direi che il ruolo della filosofia è di rispondere in modo intelligente nelle varie situazioni alla seguente domanda: In che senso possiamo dire di vivere in una società? Persone e animali, uomini e donne, vecchi e giovani, morti e vivi, belli e brutti, sani e malati, ricchi e poveri. Il senso della filosofia è porsi questa domanda in modi variegati e ingegnosi. Il mondo dei ricchi e dei poveri è davvero comune? Il mondo dei sani e dei malati è davvero comune? Il mondo degli uomini e delle donne è davvero comune? Spesso sembra di no. Il mondo degli adulti e dei bambini è davvero comune? Si tratta di prendersi cura del mondo comune. Eraclite, uno dei primi filosofi greci, disse che: “Per i risvegliati c’è un cosmo unico e comune, ma ciascuno dei dormienti si involge in un mondo proprio”. La situazione adesso è tale per cui esistono molte forze che cercano di addormentarci nei nostri mondi. Dormiamo nei nostri propri mondi, in una specie di logica consumistica. Tutti ci offrono un nostro mondo chiavi in mano, possiamo comprarlo, magari riempirlo anche virtualmente, ma è necessario invece risvegliare le persone in questo mondo comune. Qualche tempo fa ho visto una pubblicità molto istruttiva. Lo spot offriva un depuratore dell’aria che pulisce l’aria di casa rendendola fresca come nelle Alpi. Lo slogan era Tutti possono avere a casa l’aria come nelle Alpi. A me è sembrato assai assurdo, fuori l’aria è inquinata, ma nel nostro piccolo mondo privato avremo l’aria pulita dove poter vivere. Quindi il ruolo della filosofia è di risvegliarci da questi nostri mondi nel mondo comune, spesso anche in modo brutale, rivoluzionario oppure scandaloso.

Dal punto di vista del singolo in rapporto alla vita e al mondo qual è oggi il concetto di giustizia? Come lo intende lei soprattutto nell’ottica della coscienza dell’individuo? Non intendo la giustizia in senso ampio metafisico, ma nel senso concreto dell’uomo moderno.

Naturalmente la differenza tra la legge e la giustizia non è mai stato così enorme. Una cosa è la legalità, un’altra è la giustizia. Mai abbiamo sentito la legalità come qualcosa di così ingiusto. Tutto quello che accade non è il risultato della corruzione, ma del comportamento legale delle persone, compreso il riscaldamento globale, compresi gli omicidi nel terzo mondo o in Ucraina, tutto questo in un certo senso è legale. Quindi, cosa è oggi la giustizia? Direi che non è possibile pensare alla giustizia se non ad alcuni suoi casi. Nel Medioevo esisteva una filosofia morale basata sugli esempio, sul comportamento esemplare, questo era quello che si studiava e le persone ne tenevano conto. Faccio un esempio ridicolo. Quando Hitler invitò la regina olandese Guglielma ad unirsi alla Germania questa, tramite sua figlia Giuliana, rispose così: Sono troppo anziana per governare un impero così grande. La coerenza di un re che non può accettare la sudditanza a Hitler è un esempio di una piccola giustizia. Questo è un certo esempio. Un altro fu il comportamento dei danesi durante la seconda guerra mondiale. Non accettarono mai la discriminazione degli ebrei. La gente ha dimenticato un altro eccellente esempio accaduto in Bulgaria. La Bulgaria è l’unico paese, occupato dai tedeschi, il cui parlamento vietò la deportazione degli ebrei. È un caso unico nella storia.

Mi scuso se la interrompo, lei sta parlando di Dimitar Peshev, vicepresidente del parlamento. Conosco questa storia perché il fondatore della nostra organizzazione Gariwo ha scritto un libro intitolato “L’uomo che fermò Hitler” grazie al quale ha ricevuto il massimo riconoscimento della Bulgaria.

E non è soltanto merito di Peshev, ma anche del giudice Kirilov che si distese sui binari impedendo la deportazione degli ebrei. Purtroppo penso che oggi la giustizia è qualcosa semmai contro la legge. La giustizia non è applicare le legge, ma è rispettare l’umanità contro le leggi. Per me la giustizia è soprattutto l’appello all’umanità e alla solidarietà, quindi piuttosto contro la legge. Quindi quello che oggi è uno scandalo, la massima ingiustizia, è una differenza enorme tra gli shareholders, le persone che hanno un titolo legale, le azioni per decidere, e gli stakeholders che invece sono le persone influenzate da questa decisione. Quindi tutti abbiamo qualcosa in gioco, ma un numero molto piccolo di persone ha il diritto di decidere. Questa ingiustizia deve essere affrontata per prima. Ma ciò significa che dobbiamo privare questi shareholders dei loro titoli legali di decidere in nome di un modello di umanità e di convivenza tra gli esseri umani. Questo è il modo in cui vedo la giustizia. È un appello contro la legge, contro l’odierna forma di legalità, non è un appello a rispettare le leggi.

Parliamo del bene, c’è nel mondo di oggi spazio per il bene? Qualora sì, dove?

Dobbiamo abbandonare il significato mistico che la parola bene ha, al contrario dobbiamo parlare dei beni pubblici. Esistono i beni pubblici e la loro tutela, in sostanza questo è il bene. L’accessibilità ai beni pubblici, come per esempio all’acqua, proprio ieri l’ONU ha pubblicato la notizia che nei prossimi decenni il mondo soffrirà un’enorme carenza di acqua. Dunque per esempio l’acqua è un bene pubblico. Direi che oggi il bene è tutelare i beni pubblici contro la devastazione, non soltanto nell’ottica della proprietà privata, ma per essere giusti, perché spesso è una negligenza generale dei beni pubblici. Io invece della parola bene direi che il problema sono i beni pubblici, ciò che è possibile possedere. Agnes Heller, filosofa ungherese ancora vivente, in parte esule, un tempo definì il concetto del bisogno radicale, che mi piace. Si tratta dei bisogni che non possono essere soddisfatti senza cambiare l’intera società. Ad esempio qualcosa come il bisogno di comunicare, non potete soddisfarlo in una società autoritaria perché le persone hanno paura di comunicare con gli altri, e anche gli altri hanno paura, quindi non è possibile comunicare liberamente in un paese che vive nella paura. Ma non solo questo, anche l’accesso alle informazione è di per sé un bisogno radicale che dipende dalla qualità di tutta la società. Esistono quindi bisogni che non possono essere soddisfatti senza cambiare l’intera società. Ciò che oggi chiamiamo crisi ambientale rientra in questa categoria. Possiamo soddisfare i bisogni codificati nella parola “ambientale” soltanto cambiando la qualità di tutta la società. Il rapporto tra il bisogno individuale e quello dell’intera società è ciò che definisce alcuni bisogno come radicali. Quindi, per esempio il bisogno di acqua che non posso soddisfare in una società violenta e privatistica, la libera comunicazione, nemmeno, ma addirittura neanche se avete bisogno di emozioni, di essere amato, non potete soddisfare questo bisogno in una società calcolatrice e avida dove ogni emozione è condizionata da qualche vantaggio. Ad esempio la politica matrimoniale del secolo scorso che conosciamo da molti romanzi e suicidi. Interpreto questa questione sullo sfondo di ciò. Si tratta di soddisfare i bisogni radicali tutelando i beni pubblici.

E chi sono oggi i giusti tra le nazioni?

Sin dall’inizio il concetto di giusti tra le nazioni ha riguardato sempre qualcuno che si è ribellato alle imposizioni di una legge. La legge imponeva di discriminare gli ebrei e il popolo si è ribellato. Le legge vietava di curare i bambini ebrei e loro li hanno curati. In Italia c’è una legge che vieta di salvare i naufragi in mare, ma come abbiamo visto nel film Terra ferma i pescatori li salvano comunque e rischiano per questo. Giusto tra le nazioni è sempre qualcuno che mette la solidarietà umana al di sopra di tutte le leggi. Slavoj Žižek racconta nel suo diario un episodio dal campo di concentramento. Nell’aneddoto arriva un treno che si è perso da qualche parte e tutti gli ebrei stavano congelando. Ma gli ebrei mettono i bambini nel mezzo per riscaldarli, e loro così sopravvivono. Le SS li scacciano dal treno e gli aizzano contro i cani. Lui descrive un episodio che ha visto con i propri occhi: due bambini scappano mentre i cani li stanno rincorrendo, uno dei due inciampa e casca. Il secondo, invece di continuare a scappare, si ferma, torna indietro e prende l’altro bambino per mano. E così muoiono insieme sbranati dai cani. E Slavoj Žižek commenta dicendo che questa è l’etica. In realtà è un atto insensato, si tratta meramente di ribellarsi contro qualcosa, questa è la solidarietà. Quindi i giusti tra le nazioni sono quelli che in qualche modo hanno dimostrato questa solidarietà. Hanno teso la mano anche quando questo non serviva a nulla. A volte invece serve a qualcosa, come nel caso dell’italiano Perlasca. Esistono vari casi, ma il concetto di base consiste nel fatto che la solidarietà viene offerta al di là dell’utilitarismo. È l’esempio eterno di come affrontare in modo umano le situazioni di crisi. Nella storia possiamo trovare molti altri esempi.

Come le dicevo sto lavorando al progetto di un Giardino dei Giusti a Praga, per questo motivo mi interesserebbe sapere cosa ne pensa ed eventualmente se ha qualche idea su un luogo che le piacerebbe.

Secondo il mio parere perché abbia senso dovrebbe essere legato proprio con quegli esempi morali di comportamento esemplare di quelli che dovremmo ricordare per sempre. Può trattarsi ad esempio del campo della resistenza, non solo ai nazisti, come adesso è in questo paese, ma anche nel campo della resistenza contro i pregiudizi, ad esempio la lotta di Masaryk contro l’antisemitismo era un esempio eterno, da noi Jan Hus è un esempio eterno, la sua frase “Anche se me lo dicesse tutto il mondo, io, la mia coscienza e la mia ragione che uso non potremmo acconsentire”, questo è un esempio. Affinché abbia senso dovrebbe essere il giardino degli esempi nei campi più svariati. Ricordo per esempio che durante lo stalinismo apprezzavamo tantissimo gli insegnanti coraggiosi il cui insegnamento andava contro l’epoca. Alcuni finirono in prigione, altri no. La solidarietà della nostra classe era grande.

Ci voleva coraggio.

In questo paese abbiamo avuto un famoso esempio di questo tipo. Esiste un libro, direi quasi ributtante, che si chiama La barricata muta. Questa generazione non la conosce ma per noi era una lettura obbligatoria. Come dicevo questo libro non vale niente, ma contiene un racconto fantastico che si chiama Il principio superiore. Ne fecero poi un film disgustoso che banalizza completamente, che non ha assolutamente compreso il racconto che nella sua semplicità è meraviglioso. È la storia di un professore di latino, un vecchio scapolo, che pensa solo al greco e al latino, vive una vita da eccentrico di alcuni vecchi professori e tutti lo chiamano il Principio superiore perché lui diceva sempre “Dal punto di vista del principio superiore morale ti comporti come un mascalzone.” E per questo lo prendono in giro. Ma quando dopo l’attentato ad Heydrich il consiglio di Brussel decide che lui deve dire in classe qualcosa a favore di Heydrich, allora nella sua semplicità eccentrica dice: “Dal punto di vista del principio superiore morale l’omicidio di un tiranno non è un reato.” Non sapeva fare in modo diverso. Questa è un esempio. Quindi per me il giardino dei giusti è una raccolta di questi esempi, spesso insensati, come per esempio la storia di quei bambini quando uno dei due si sarebbe potuto salvare. In un’altra storia simile si racconta che una SS vede un polacco dare del pane ad un bambino ebreo e l’SS costringe il polacco a gettare il bambino nel fiume dal punto minacciandolo che altrimenti li avrebbe fucilati entrambi. Il polacco lo fa, ma dopo si impicca. E quando parlo della Polonia ho ancora un altro esempio famoso. Le dice qualcosa il nome di Maximilan Kolbe? Era un prete che quando i tedeschi decisero nel campo di concentramento di Treblinka di fucilare cento persone e le stanno scegliendo, allora il prete si offre al posto di un polacco che aveva cinque bambini. E loro lo scelgono davvero. Questa storia è interessante perché quest’uomo sopravvisse grazie al fatto che Kolbe morì. Esiste un documentario polacco molto interessante su questa storia che mostra quanto fu difficile per il padre dei cinque bambini vivere la vita di qualcun altro. Quindi padre Kolbe è un altro esempio. E quanti ne troveremmo nel nostro paese, ad esempio durante lo stalinismo. Quindi sì, il Giardino dei Giusti, ma non soltanto per le storie legate all’olocausto, ma alle storie di tutti gli altri olocausti e alle più svariate forme di resistenza al male nel senso generale della difesa dei beni pubblici. Conosco molte persone che negli anni Cinquanta cercavano di rimettere a posto gli edifici distrutti, lo facevano gratuitamente, anche questi fanno parte del Giardino dei Giusti.

Ho ancora una domanda, ma è più una mia curiosità. Qualche anno fa ho seguito il dibattito in TV dove lei dibatteva insieme a Halik sul dialogo interreligioso. Mi è tornato in mente Halik perché recentemente ha detto “Io non sono Charlie Hebdo”, e così le volevo chiedere se lei è o non è Charlie Hebdo?

Io sono Charlie Hebdo perché credo nel principio del carnevale. La blasfemia fa parte del cristianesimo, gioca un determinato ruolo già dall’antica tradizione latina. Ogni pronunciamento serio aveva anche la sua parodia volgare. Lei sicuramente conoscerà la goliardia, oggi la troviamo soltanto a Venezia, Venezia Giulia, Friuli, Veneto, ma soprattutto a Venezia. E quando guarda al principio della goliardia si tratta di ridicolizzare il „dottore, dottore“, il titolo universitario. Questo è il principio, quella volgarità, lui si deve vestire in abiti femminili, gli spruzzano la vernice, gli versano addosso il vino e lui deve fare delle cose immorali su di sé, in un certo senso è umiliante. Questo è il principio del carnevale, ridicolizzare subito quello che è serio. E ancora oggi il carnevale veneziano è pieno di varianti immorali di ciò. Quindi per me Charlie Hebdo è una variazione del principio carnevalesco ed è necessario ricordarsi perché lo vietarono la prima volta, lei lo sa?

No.

All’epoca si chiamavano diversamente, credo Sorry, li vietarono perché mentre tutta la Francia piangeva la morte di De Gaulle, loro uscirono con una copertina che faceva la parodia delle prime pagine della settimana precedente. La settimana procedente in qualche posto scoppiò un incendio durante un ballo e morirono centotrenta persone. E su tutti i giornali c’era „bal tragique, cent trente morts“ (ballo tragico, centotrenta morti), e loro fecero la parodia di questa copertina mettendo „Bal tragique à Colombey-1 mort.“, (ballo tragico a Colomey, un morto), Colombey era la sede di De Gaulle, e in Francia poi li vietarono. Tornarono con un altro nome, e così nacque Charlie Hebdo. E i disegnatori della vecchia rivista passarono qui. Loro cominciarono con la banalizzazione della serietà secondo il più severo principio carnevalesco.

Ma se guardiamo alla nostra società ho l’impressione che tutte le parole in qualche modo siano diventate carnevalesche perché la parte secolare non è più sacra. Questo processo non dovrebbe andare piuttosto in senso opposto? Ho l’impressione che di ridicolizzazione ne abbiamo anche troppa.

Non è possibile, perché abbiamo anche troppa santificazione. Non può andare in entrambe le direzioni. Entrambe le direzioni sono intasate. Naturalmente. Su cosa si basa l’arte moderna? Sulla ridicolizzazione di quella vecchia. Ma se anche il nuovo è già stanco, allora non potete più inventare il nuovo. Dove andrebbero oggi Duchamp con la sua tazza del bagno, oggi è la cosa più banale che ci sia, e quindi dove cercare il nuovo? Non è facile. Il nuovo è vecchio. Gianni Vattimo disse in modo molto esatto “Chi pensa che il vecchio venga superato dal nuovo, è irrimediabilmente moderno.” Noi postmoderni crediamo che non ci sia niente di insuperabile.

Grazie per l’intervista.

Gariwo- Zahrada Spravedlivých

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