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“Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo”. Intervista a Marco Tarchi

tarch4Marco Tarchi insegna Scienza della politica presso l’Università di Firenze ed è autore del saggio: Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo, edito da “Il Mulino” (2015). In questo scritto l’autore illustra il percorso che, secondo quanto sostiene, avrebbe condotto la politica italiana, dopo quasi settant’anni di esperienza democratica repubblicana, a impregnarsi di una dose di forte populismo. Guglielmo Giannini, Umberto Bossi, Achille Lauro, Antonio Di Pietro, le campagne della Lega ecc. fino ad arrivare a Beppe Grillo, sarebbero tutte espressioni politiche dell’Italia degli ultimi decenni che, secondo Tarchi, discenderebbero dal populismo che, in Italia, ha avuto radici profonde e, dopo aver conosciuto un primo momento di fulgore in epoca fascista, si è continuamente ripresentato nel dopoguerra sotto svariate spoglie.

A Praga per una serie di convegni, tra cui uno all’Istituto Italiano di Cultura, nel corso del quale ha presentato anche il suo libro, Tarchi ha risposto ad alcune domande per CB.

 

CB. Il concetto di populismo viene oggi utilizzato quasi sempre con un’accezione negativa, anche se nella storia non è stato sempre così. Cosa ha fatto sì che nella società attuale questo termine si connotasse di un significato fondamentalmente negativo?

La sua assimilazione – abusiva – con la demagogia, che ne è certamente una componente ma oggi, a causa anche del ruolo cruciale assunto dal marketing politico e dai sondaggi, che incitano a modulare programmi e proposte sulle aspettative degli elettori, è diffusa un po’ in tutti gli ambienti politici. Inoltre, è stato lo stesso concetto di popolo a svalutarsi: da un lato per l’espandersi sempre più vigoroso di una mentalità individualista, dall’altro per l’affermarsi negli ambienti intellettuali e mediatici della convinzione che la risoluzione dei complicati problemi politici, sociali ed economici odierni vada affidata ai tecnici e non agli inesperti “uomini della strada”, che sono invece cari ai populisti.

CB. Nel contesto storico-politico italiano, volendo fare un riassunto, quali sono state le tappe più rilevanti dell’ascesa del fenomeno del populismo?

Se ci limitiamo al secondo dopoguerra, volendo sintetizzare si possono citare la breve ma intensa stagione dei successi del Fronte dell’Uomo qualunque, l’ascesa a “re di Napoli” di Achille Lauro, la progressiva affermazione della Lega Nord, il diffondersi del mito di una società civile integra e laboriosa come contraltare della corrotta e ignava classe politica – che ha seminato l’humus del successo di Berlusconi – e, più di recente, l’exploit di Beppe Grillo e del movimento da lui ispirato.

CB. La relazione tra democrazia e populismo è propria di una fase decadente di questa forma di governo, oppure un fenomeno necessario e inevitabile delle democrazie avanzate?

Concordo con una studiosa di primo piano del fenomeno, l’inglese Margaret Canovan, quando sostienetarchi1 che democrazia e populismo sono “due litigiosi gemelli siamesi”: dissentono su molte cose ma è impossibile separarli. Il populismo nasce e cresce, sostiene Canovan, dallo scarto che si crea tra le promesse di una democrazia ideale e le carenze della traduzione pratica di quello stesso ideale. La sottrazione dell’effettivo potere decisionale ai cittadini, tipica di ogni ordinamento basato sul principio rappresentativo, genera scontento, delusione e voglia di riappropriarsi del ruolo che, in teoria e nelle sue stesse radici etimologiche, la democrazia assegna al popolo. Di questo stato d’animo il populismo si nutre, puntando sulla promessa di instaurare meccanismi di democrazia diretta, strumenti di controllo e di eventuale revoca degli eletti che non rispettano le promesse fatte, sino al punto di restaurare il mandato obbligatorio.

CB. Il fatto che ogni richiesta, anche legittima, volta ad un miglioramento delle condizioni dei cittadini, oggi venga spesso etichettata come un’istanza di tipo populista, non rischia a volte di svilire anche delle richieste giuste dettate da esigenze vere dei cittadini?

Sì. L’uso strumentale dell’aggettivo populista come epiteto, che taluni politici rivolgono ai propri critici, è spesso un modo per sottrarsi al rendiconto del rapporto fra le promesse fatte e quelle mantenute.

CB. L’ascesa di forze politiche che devono ricorrere a forme propagandistiche populiste potrebbe essere un sintomo di un cattivo stato di salute del tessuto sociale di una nazione? Cioè, il populismo non attecchisce forse meglio in una società con un livello culturale inferiore rispetto a una società con livelli culturali e di istruzione più alti?

tarchi 1Lo si è spesso sostenuto, e questa ipotesi sottintende il pregiudizio di cui parlavamo all’inizio. I fatti ci dicono che, negli ultimi decenni, movimenti e partiti populisti hanno raggiunto elevati livelli di consenso in paesi che sono tutt’altro che scarsi nei livelli culturali e di istruzione: Danimarca, Olanda, Finlandia, Svezia, Francia, Gran Bretagna… Non potendo sfuggire a questa constatazione, ci si aggrappa ai dati che testimoniano la maggiore forza elettorale di queste formazioni tra gli operai e, in genere, in ambienti sociali economicamente svantaggiati. È curioso – e indicativo – che, quando quelle stesse fasce sociali premiavano con il loro voto i partiti comunisti o socialisti, nessuno si azzardasse ad avanzare ipotesi che chiamavano in causa, nel loro comportamento, un livello di istruzione inferiore alla media. Questo diverso atteggiamento dice assai più sullo scarso grado di onestà intellettuale di certi commentatori che su quello di cultura degli elettori populisti.

CB. Cosa pensa di Matteo Salvini e cosa, secondo Lei, fa presa negli elettori della nuova Lega che, stando alle statistiche, sta prendendo molto piede in Italia?

 

Salvini ha capito che la svolta normalizzatrice di Maroni, proiettando un’immagine anonima, integrata e piuttosto grigia del Carroccio, stava portando la Lega in un vicolo cieco, e ha cambiato rotta riprendendo, in termini aggiornati ai tempi, lo stile e gli argomenti populisti che avevano fatto la fortuna di Bossi. Ad aiutarlo è l’aggravarsi di fenomeni di portata epocale che rendono inquieti molti cittadini-elettori, come l’enorme aumento dei flussi migratori verso l’Europa, la progressiva perdita di sovranità degli Stati nazionali, l’aggressività dell’integralismo islamico, la sempre più evidente abdicazione della politica a profitto dei poteri economico e finanziario, che ormai dettano le agende di governi, partiti, istituzioni sovranazionali. Poiché tutti questi dati sono di ampia portata, per sfruttarne l’impatto la Lega non poteva rimanere ancorata alla visione localistica dei precedenti decenni, e questo spiega la svolta “nazionale” della strategia di Salvini.

CB. In che rapporto stanno populismo e xenofobia?

In un rapporto molto stretto, perché gli stranieri, gli estranei, gli “alieni” fanno parte a pieno titolo della vasta galleria dei nemici del popolo che caratterizza la mentalità populista. Va però aggiunto che la xenofobia populista è, come ben ha notato un politologo acuto come Giovanni Sartori, una paura – non sempre campata in aria – dell’altro-da-sé, di chi ha comportamenti e convinzioni che poco hanno a che spartire con le propria; non è un odio, e poco o nulla ha a che vedere con il razzismo, che presuppone una credenza nella gerarchia dei (e fra i) gruppi etnici estranea al modo di pensare dei populisti.

CB. Cambiando argomento. Da intellettuale di destra Lei conosce certamente bene la figura del discusso scrittore e filosofo del secolo scorso: Julius Evola. Secondo Lei è possibile recuperare qualche aspetto del suo pensiero che potrebbe essere utile nella situazione politica e sociale che sta attualmente attraversando l’Italia?

Mi permetta di respingere con forza la qualifica di intellettuale di destra. Da oltre trent’anni dico, scrivotarchi 5 a argomento l’inadeguatezza della categorie di sinistra e di destra per identificare le linee di convergenza e di antagonismo che attraversano le società attuali. Io vengo da un (lontano: si è concluso nel 1981) passato di impegno politico nel Msi, che si definiva “destra nazionale”, e già allora mi trovavo a disagio nell’essere incasellato in quella formula; ho poi animato una corrente di pensiero che i media definivano Nuova Destra ma ho cercato in ogni modo di spiegare che quell’etichetta non rendeva ragione al percorso che quel movimento di idee aveva imboccato. Da quando mi dedico professionalmente allo studio e all’insegnamento, non smetto di chiarire che mi colloco trasversalmente rispetto alle usuali – e usurate – discriminanti ideologiche, che sono un “cane sciolto” ben lieto di esserlo. Ciò premesso, ho letto varie opere di Evola da giovane, prima entusiasmandomi per la radicalità del suo pensiero antimoderno, poi, già a venticinque anni, rilevandone zone d’ombra e insufficienze. Oggi, pur affidandomi più alla memoria che alla pura conoscenza (non ho più letto una pagina di questo autore da molti anni), direi che leggere alcuni dei testi evoliani, a partire da Rivolta contro il mondo moderno, può essere utile per acquisire anticorpi rispetto a talune tendenze discutibili – e che personalmente non amo – dell’odierno spirito del tempo, ma occorre poi, per reagire positivamente alle forme che quelle tendenze hanno assunto, andare oltre Evola. Molto oltre.

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